Una concezione completamente diversa dal passato impronta le fortificazioni di età moderna: a partire dalla seconda metà del ‘400 le mura di cinta si abbassano e si allargano, includendo terrapieni che avevano il compito di smorzare l’impatto delle artiglierie; le torri vengono sostituite dai bastioni, terrapieni a forma di punta di freccia su cui andava a rompersi il tiro nemico. Se questi sono gli esiti più evidenti dell’affermazione delle armi da fuoco sul piano della tecnica fortificatoria, un cambiamento ancora più notevole stava dietro all’organizzazione stessa della guerra, di cui le fortezze non erano che l’aspetto pratico. A cambiare è infatti la concezione dello stato territoriale: non più una somma di potentati locali, imperniati sui castelli, con i quali i sovrani dovevano di volta in volta contrattare fedeltà politiche e militari, ma uno ‘stato moderno’ con un forte potere centrale, in grado di organizzare la difesa militare su tutto il territorio. Si va verso la costruzione di domini ampi e coerenti, compatti al loro interno – e non più ‘a macchia di leopardo’ come nel medioevo - definiti da confini ben identificabili. Ed è verso queste zone marginali che si sposta l’attività bellica, in modo che il cuore restasse protetto e potesse proseguire le normali attività economiche e istituzionali. Le frontiere vengono rafforzate con piazzeforti ben munite, atte ad ospitare truppe numerose, in grado di intervenire dove fosse necessario. Al posto di tanti piccoli presidi, quindi, si va verso la costruzione di poche, ma potenti roccaforti, che non servivano solo a difendere punti strategicamente importanti, ma a dissuadere l’avanzata del nemico.