Storia di confini e di cartografie nell’Alto Adriatico

Metodologia



Scarica il PDF

di Dragan Umek

È fuor di dubbio che i confini non sono stati tracciati per riunire i popoli dell’una e dell’altra parte o per fornire loro strumenti idonei di comunicazione e di collaborazione. Tuttavia, la loro natura dissociativa è mutata nei secoli in quanto è cambiata la loro funzione di separare le sovranità in relazione all’ambiente storico e geografico di riferimento. Infatti, i popoli primitivi avevano, a tale proposito, idee e concetti molto semplici, considerando come confine un’area marginale, isolata, disabitata, inutilizzata, definibile come “terra di nessuno” e individuata da particolari ostacoli naturali in cui vigevano il libero accesso occasionale e l’assenza di controllo da parte di alcuno. I confini erano a quel tempo generalmente riferiti alla popolazione e non al territorio.

Furono i grandi imperi del passato a tracciare con cura i loro confini, anche nei confronti di entità con scarso peso politico, poiché tali limiti avevano la funzione di separare la civiltà dalla barbarie e di evidenziare con precisione i territori conquistati.

I Romani – nella veste di organizzazione statale forte e compatta – perfezionarono la concezione del confine zonale d’isolamento, appoggiandolo ad un elemento naturale, un ostacolo invalicabile come catene montuose e bacini fluviali, o in loro assenza a colonie militari o a opere artificiali di fortificazione, i cosiddetti valla, fasce lineari di muraglioni, steccati, palizzate e trincee presiedute militarmente.

Tipologie, queste, ampliamente sperimentate nella definizione del confine orientale d’Italia che, fin dalla sua prima istituzione ha manifestato un carattere mobile, in continua evoluzione funzionale nella vita di relazione tra popoli e stati contigui. Come afferma lo studioso Giorgio Valussi, questo confine è uno dei più dinamici della penisola e rappresenta un caso di ordine “genetico” in quanto, fin dagli esordi, non presentava sufficienti caratteristiche fisiche per assolvere in modo univoco alla funzione di barriera naturale. Infatti, nel settore compreso tra la Sella di Camporosso e il Quarnero, le direttrici trasversali del sistema montuoso alpino non garantiscono una linea di cresta, elevata, omogenea e compatta. Allo stesso modo, l’apparato fluviale caratterizzato da flussi d’acqua discontinui per immersione sotterranea e la presenza di numerosi solchi vallivi carsici non costituiscono un’idonea fascia di separazione fra le terre italiane e quelle estere. Tant’è vero che il limite orientale all’origine dell’età romana, era definito dai territori occupati dalle varie popolazioni e assecondava i loro spostamenti, assumendo caratteri e valori piuttosto instabili e mutevoli: da confine etnico, a naturale, a politico-militare. Inizialmente divideva i Celti dai Veneto-Illirici, successivamente con l’occupazione di nuove terre e la fondazione di altre colonie esso corrispondeva ai limiti orientali degli agri colonici di Aquileia, di Forum Iulii (Cividale) e di Iulium Carnicum (Zuglio) per scorrere, fino al 50 a.C., lungo la fascia pedemontana delle Alpi Carniche e Giulie fino all’Isonzo, seguendo poi le estreme pendici carsiche, dall’Isonzo al mare. Intorno al 42 a.C. fu stabilito sul fiume Formio, detto ora Risano e fra il 18 e il 12 a.C. sul fiume Arsia, in modo da includere nell’Italia romana tutta l’Istria.

Probabilmente già in età augustea, con la fondazione della colonia di Iulia Emona, l’attuale Lubiana, il confine orientale dell’Italia romana si spinse ancora più a est, fino a raggiungere il passo di Trojane, in antico Atrans, che divideval’Italia dalla provincia del Norico.
Alla fine del II secolo d.C., con l’istituzione della Praetentura Italiae et Alpium, una regione militare di frontiera, le barriere difensive furono erette sulla dorsale dei monti Nevoso e Jelenec sino a raggiungere l’Adriatico di fronte all’isola di Veglia.

Dopo il lungo periodo di unificazione politica e culturale esercitata dalla dominazione romana, il periodo medievale si caratterizzò per l’entrata in scena di nuove e più numerose realtà politiche capaci di auto-differenziarsi e auto-determinarsi. Con i Regni romano-barbarici si avviò, da un lato, il lungo processo di controversie nazionali e dall’altro un cambiamento nella composizione delle pertinenze territoriali, inizialmente impostate sui residui delle antiche strutture romane e bizantine, ma successivamente organizzate secondo i nuovi schemi del feudalesimo, che favorirono un frazionamento della sovranità, a dispetto di un’apparente forma di unità riproposta dai Franchi e dall’Impero Carolingio prima nonché dal Sacro Romano Impero poi.

La questione del confine nord-orientale venne a inscriversi in un nuovo quadro di riferimento molto più complesso che, al di là della consapevolezza di un più generico confine della regione italiana, solo formalmente sembrava raccogliere l’eredità del tracciato di epoca classica, in particolare quello stabilito da Augusto lungo il fiume Arsa.

I veri limiti ereditati dall’antico assetto geopolitico sembrarono piuttosto essere quelli collegati a una territorializzazione di matrice religiosa, quella della diocesi metropolita del Patriarcato di Aquileia, che interessava tutta l’area centro-europea a sud del Danubio, compresa approssimativamente tra i fiumi Mincio e Iller a ovest e il lago Balaton a Est. Al suo interno i confini particolari della diocesi di Aquileia fino all’VIII secolo erano segnati a nord dalla diocesi di Iulium Carnicum (Zuglio), a ovest da quella di Concordia, e a est da Emona e Tergeste.

Nel 798 Carlo Magno, erigendo la diocesi di Salisburgo per i territori danubiani, pose il confine tra questa e la diocesi di Aquileia alla Drava. A parte questa contrazione a settentrione e la perdita della fascia litoranea veneta passata nel IX secolo sotto la giurisdizione della seconda sede patriarcale di Grado, questa estensione metropolita fu quella che in sostanza continuerà fino al momento della soppressione del Patriarcato di Aquileia nel 1751, con le sedi suffraganee confermate al XIII secolo in: Mantova, Como, Trento, Verona, Vicenza, Padova, Treviso, Concordia, Ceneda, Feltre, Belluno, Pola, Parenzo, Pedena, Trieste, Capodistria, Cittanova d’Istria.

La giurisdizione fino agli inizi dell’XI secolo fu di tipo spirituale, ma nel 1077 il Patriarca ricevette in donazione come feudo da Enrico IV la Contea del Friuli, e più tardi le Marche della Carniola e dell’Istria. Quest’investitura diede avvio alla formazione di uno dei maggiori principati feudali dell’Europa medievale che durò fino al 1420, quando i suoi territori furono conquistati dalla Repubblica di Venezia. In questo periodo il Patriarca esercitò un potere temporale che implicò azioni di contrasto e di belligeranza nei confronti degli altri principi e feudatari dell’Impero Germanico, in particolare contro i Conti di Gorizia, contese che aumentarono la difficoltà dei Patriarchi di mantenere un sistema di comunicazioni efficienti attraverso la regione alpino-carsica tra i propri feudi della Carniola e dell’Istria per favorirne l’unificazione al Friuli. Ma anche il successivo movimento dei Comuni contribuì a un’ulteriore frammentazione delle compagini feudali imperiali in area cisalpina, e lo stesso Patriarca nel corso del XIII secolo passò al partito guelfo per difendersi dai feudatari ghibellini e dai Conti di Gorizia e contrastare una loro ulteriore penetrazione a sud, dal momento che l’espansione dell’Impero a est e a nord veniva ostacolata dal Regno d’Ungheria e dai Polacchi. Arridendo alle aspirazioni comunali delle comunità cittadine del Friuli, da un lato il Patriarca apriva l’orizzonte a un’evoluzione politica, sociale e culturale che portò al trasferimento della sede patriarcale da Cividale a Udine, alla costituzione della Patria del Friuli e del suo Parlamento come principio dell’espressione di una coscienza politico territoriale friulana; dall’altro lato apriva il varco alla penetrazione più facile di un’altra magnifica rivale: la Repubblica di Venezia che già era riuscita a estrometterlo dai suoi diritti feudali in Istria, estendendo per mare e per terra i suoi possedimenti.

L’ingerenza veneziana anche in terraferma fu ulteriormente favorita dai repentini cambiamenti del quadro di riferimento politico nel bacino mediterraneo e nell’Europa centrale, laddove l’Impero Ottomano iniziava la sua avanzata verso i Balcani, mentre il Regno d’Ungheria ampliava una politica di espansione sulla Dalmazia per garantirsi contatti col Reame di Napoli, minacciando le città venete della costa.

Nel frattempo anche all’interno dello stesso Impero Germanico si manifestò una variazione di non poco conto: i Duchi d’Austria non solo assorbivano parte dei possedimenti dei Conti di Gorizia, ma rafforzarono la loro posizione con la conquista di consistenti sbocchi al mare, avendo ottenuto nel 1382 la dedizione di Trieste, pur nel rispetto della sua autonomia, e accessi presso Duino e sulla costa liburnica. Inoltre, con la cessione da parte del Patriarca dei castelli di Stiria, Carinzia e Carniola ebbe il conseguente controllo delle vie d’accesso all’Italia presso Venzone, il Vipacco e la Chiusa del Canal del Ferro.

Tutti questi numerosi e mutati rapporti di forza incisero profondamente sulla fine del Patriarcato di Aquileia in qualità di principato temporale, e allo stesso tempo costituirono i prodromi della natura mobile ed evanescente del confine nord-orientale che verrà a manifestarsi in tutta la sua segmentazione nei secoli successivi. Infatti, la situazione politico-territoriale all’interno dell’Alto Adriatico era molto articolata, crogiuolo di etnie e culture differenti, spazio terrestre e marittimo ambito da piccoli e grandi potentati indaffarati a estendere, potenziare, salvaguardare proprietà e possedimenti in un’ottica di cessioni, accordi, arbitrati, fratellanze e dedizioni, ma anche di controversie, sottomissioni e sudditanze che in molti casi si traducevano nella fondazione o distruzione di nuove fortezze, nell’attuazione forzata e strategica di politiche giurisdizionali nonché in conflitti locali legati alla gestione del vivere quotidiano come le pertinenze di boschi, pascoli, saline, arativi, acque e molto altro ancora.

La formazione di questo nuovo confine sarebbe dunque più profondamente frutto del dualismo tra le regioni litoranee dell’Istria e in parte del Friuli e quelle del retroterra, nell’antitesi tra gli interessi dei centri politici marittimi come Venezia, l’Istria, Trieste e quelli dei centri politici più interni, quali il Patriarcato, la Contea di Gorizia, il Ducato d’Austria, il Regno di Ungheria. La ridefinizione di un confine politico alla fine del Medioevo scaturì dalla crisi dei sistemi feudali e anche delle autonomie comunali, sull’onda di quelle spinte che porteranno alla nascita di sovranità fondate sullo stato patrimoniale a base territoriale.
Con l’annessione del Friuli per la Repubblica Veneta si fece più forte l’esigenza di individuare una linea di confine precisa e sicura all’interno della Terraferma che non solo eliminasse l’enclaves feudali di retaggio imperiale, soprattutto quelli dipendenti dai Conti di Gorizia e dalla Casa d’Austria, ma che sul fronte orientale creasse sull’Isonzo una barriera efficace contro le incursioni dei Turchi. Mentre la Serenissima apprestava nuove fortificazioni costruendo la fortezza di Gradisca sulla riva destra del fiume, i Conti di Gorizia concludevano con il Ducato d’Austria un Patto di Fratellanza e di reciproca successione, cosicché la Contea diventava retaggio patrimoniale degli Asburgo che ne entrarono in effettivo possesso con la morte dell’ultimo conte e l’estinzione della dinastia nel 1500.

Questo fatto trasformava il confine sull’Isonzo, tradizionalmente limite giurisdizionale tra il Patriarcato di Aquileia e la Contea di Gorizia, ormai in un confine politico austro-veneto, che non ebbe modo di consolidarsi, travolto dagli eventi che portarono alla Guerra di Cambrai, ma che già si prefigurava come una linea d’equilibrio tra la potenza marittima di Venezia e quella continentale degli Asburgo.
Dalla metà del XVI secolo e durante tutto il XVII, la questione confinaria nella regione altoadriatica si animò intorno a questo dualismo geopolitico. Dopo otto anni di guerra dal 1508 al 1516, prevalse il principio armistiziale dell’uti possidetis che lasciava il controllo militare effettivo quale era derivato dalla guerra. Così l’Austria in particolare riuscì a rientrare in possesso della fortezza di Gradisca e di Marano, di Cormons e di Aquileia, solo temporaneamente conquistate dai veneziani.

I Capitoli di Worms del 1521 segnarono uno spartiacque importante ma non definitivo; se per un verso ricondussero ad una sorta di rinnovata linea d’equilibrio tra le due potenze, dall’altro convalidarono una divisione territoriale strutturata a macchia di leopardo e caratterizzata da reciproche realtà di enclaves e di exclaves che fornivano un quadro politico alquanto frazionato.
La costruzione e definizione del nuovo confine risultava pertanto incerta e fortemente altalenante, non ancora completamente svincolata da antiche giurisdizioni feudali, mal definita sia sul terreno che sulle carte, quasi a voler di proposito lasciare la situazione sospesa a pretesto di nuove e future modifiche. Fu di fatto la base di un lungo periodo di instabilità, animato da controversie, da trattative diplomatiche e numerosi tentativi di rettifica che si protrasse fino alla metà del XVIII secolo. In particolare Marano e Aquileia rappresentarono negli anni successivi, e nonostante le direttive finali dei Capitoli di Worms, pretesti per colpi di mano e vere azioni di guerra: il valore territoriale di Marano stava nel suo accesso al mare e a forti risorse commerciali; quello di Aquileia ruotava intorno alla questione del Patriarcato che in cambio cedette ai vincitori francesi tutti i territori sulla riva destra dell’Adige, che divenne così il confine fluviale tra l’Impero asburgico e un nuovo Stato italiano: la Repubblica Cisalpina anche se di fatto questa era un protettorato francese.
Il confine orientale avanzò dunque dall’Isonzo all’Adige; l’Austria ottenne il controllo pieno dell’Adriatico, e il vecchio confine di Worms tra la Contea di Gorizia e i vecchi territori veneti divenne un confine amministrativo interno ai possedimenti Asburgici, tra la detta Contea e il nuovo Regio Governo Austriaco del Ducato di Venezia.

Con la fine della Repubblica di Venezia, nel 1797, all’impero degli Asburgo passarono tre quarti della costa adriatica orientale. Il primo dominio austriaco fu tuttavia breve e non incise sulle strutture amministrative. La fase napoleonica riguarda gli anni compresi tra il 1806 e il 1813: infatti, il ritorno sulla scena politica di Napoleone e la sua schiacciante vittoria di Austerlitz estromisero nuovamente l’Austria dalla Regione Italiana. Con il trattato di Presburgo (Bratislava) del 1805 e la Convenzione di Fontainebleau del 1807, l’Austria non solo cedeva alla Francia tutte le province venete, rimanendo in possesso solo della Contea di Gorizia, della Contea di Pisino e dei territori di Trieste e Fiume, ma venne stabilito un nuovo confine che riprendeva la linea di una vecchia proposta del 1583 sul corso dell’Isonzo dalla foce a Cristinizza presso Canale. In questo modo passarono al Regno Italico tutti gli inclusi sulla riva destra del fiume, la fortezza e il distretto di Gradisca, mentre il territorio di Monfalcone fu ceduto all’Austria.

Questo nuovo confine, determinato sul terreno nel 1808, fu il “II confine politico” stabilito dopo quello dei Capitoli di Worms, il primo tracciato secondo la dottrina dei confini naturali fluviali. Ben presto però si riaprirono le ostilità e Napoleone vinse ancora una volta: con l’ennesimo trattato (Schönbrunn, 1809) l’Austria perdeva nuovamente territori in Italia, l’accesso al mare e cedeva alla Francia il Circolo di Villaco in Carinzia, la Carniola e tutti i paesi a destra della Sava fino alla frontiera ottomana della Bosnia. Queste acquisizioni andarono a costituire una nuova entità territoriale, le Province Illiriche, destinate a una funzione di “territorio cuscinetto” con l’Impero Otto- mano. Dal punto di vista amministrativo queste nuove acquisizioni furono suddivise in sette province: Carinzia, Carniola, Istria, Croazia civile, Croazia militare, Dalmazia e Ragusa. Il confine sull’Isonzo di Fontainebleau fu avanzato da Canale alle sorgenti e con l’annessione della Valcanale al Regno Italico nel 1811. Questo fu il “III confine politico” costituito in Friuli.

Dopo la sconfitta della campagna di Russia e della battaglia di Lipsia, la dominazione francese cessò e ad essa si sostituì un nuovo assetto determinato dall’Austria. Essa si riprese oltre alle ex province venete, i territori delle Province Illiriche, la Lombardia e il controllo sul mare, estendendo il suo controllo fino ai fiumi Ticino e Po e a tutto l’Adriatico settentrionale. La città di Trieste fu dichiarata “città immediata dell’impero” e eretta sede del Governo del Litorale. L’antico confine dei Capitoli di Worms divenne un confine interno amministrativo tra i paesi illirici e le province venete, mentre nel 1815 fu creato il Regno Lombardo-Veneto e nei territori sudorientali il Regno Austro-Illirico. Quest’ultimo cesserà di esistere già nel 1849 in seguito alla riorganizzazione amministrativa dell’Impero, mentre il primo nel 1866 dopo la Terza Guerra d’Indipendenza che vide confrontarsi la Monarchia Asburgica con il Regno di Prussia e il Regno d’Italia.

Infatti con la Pace di Vienna (3 ottobre 1866), attraverso la mediazione francese, le province del Lombardo-Veneto vennero trasferite all’Italia e il confine amministrativo tra questo Regno e la Contea principesca di Gorizia e Gradisca si trasformò in un confine politico italo-austriaco, il “IV confine politico”, istituito nel settore nordorientale dell’Italia e valido fino alla conclusione della Prima Guerra Mondiale. Nella parte più settentrionale seguiva lo spartiacque delle Alpi Carniche e nella zona pianeggiante e costiera, tagliando la valle del Natisone, seguiva i corsi d’acqua dello Judrio e dell’Ausa, per raggiungere il mare poco ad ovest dell’isola di Grado.
Lo scoppio del primo conflitto bellico mondiale portò a maturazione le istanze irredentiste e mosse la ricerca di un confine naturale più sicuro e stabile e più corrispondente all’estensione della nazione italiana.
Nel novembre 1918, alla conclusione della prima guerra mondiale, la Monarchia Asburgica cessò di esistere e al suo posto si formarono nuovi Stati, tra cui l’Ungheria e la Jugoslavia (che allora assunse la denominazione di Regno dei Serbi, Croati e Sloveni - Kraljevina Srba, Hrvata i Slovenaca, o in forma abbreviata Regno S.H.S.). Nel corso delle trattative diplomatiche, le richieste territoriali italiane, fondate sul Patto di Londra (1915) in base al quale i Paesi dell’Intesa avrebbero ricompensato l’Italia con ampie acquisizioni territoriali nelle terre irredente del Trentino, Venezia Giulia e Dalmazia, si scontrarono con la posizione assunta dal presidente americano Thomas Woodrow Wilson, il quale si rifiutava di riconoscere qualsiasi accordo segreto tra singoli Stati all’insaputa degli altri cobelligeranti. Il disaccordo emergeva soprattutto per la definizione dei confini adriatici, contesi tra il Regno d’Italia e il nuovo stato balcanico S.H.S.

l presidente Wilson concepiva il nuovo assetto dei confini italiani ed europei al di fuori dei vecchi schemi imperialistici delle grandi potenze europee e postulava l’adozione di un criterio basato sul “principio di nazionalità”. A tale scopo istituì una commissione di esperti americani, denominata Peace Inquiry Bureau, per elaborare una linea di separazione che tenesse conto principalmente della appartenenza etnica delle popolazioni e solo marginalmente delle esigenze economiche o strategiche degli Stati. La proposta americana, con alcune modifiche rispetto la prima versione, prenderà comunemente il nome di “linea Wilson” (27.10.1919) ed assegnava all’Italia gran parte della Contea di Gorizia, Trieste con i distretti di Sesana e Comeno, quasi tutta l’Istria compresa la cittadina mineraria di Albona, esclusa precedentemente; al Regno balcanico andava la Carniola occidentale, la costa liburnica, Fiume nonché tutta la Dalmazia. Ma non venne raggiunto alcun accordo e la proposta non ebbe accoglienza favorevole per l’ostilità della delegazione italiana, che per protesta abbandonò, per un breve periodo, i lavori della Conferenza di Pace.
La definizione del nuovo assetto confinario tra Austria e Italia che fu stabilito già alla Conferenza della Pace di Parigi, con il trattato di S. Germain (10.9.1919). In base a tali accordi il confine che interessava l’alto Friuli si mantenne lungo lo spartiacque alpino nel tratto che già separava la provincia di Udine e il land della Carinzia, ma variava nella parte più orientale delle Alpi Carniche, con l’annessione all’Italia del comune (già carinziano) di Tarvisio e della parte austriaca della località di Pontebba (Pontafel), anche se tale territorio risultava geograficamente più a nord dello spartiacque alpino (versante danubiano).
Più tormentato fu l’accordo tra il Regno d’Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, concluso solo dopo un anno di lunghe trattative con il Trattato di Rapallo (12.11.1920), direttamente tra gli stati coinvolti: l’Italia rinunciò all’annessione della Dalmazia ex-austriaca (ad eccezione della città di Zara, con un modestissimo circondario), ma ottenne gli altri territori previsti dal Patto di Londra, cioè tutto il Litorale austriaco, con l’Istria, e parte del territorio della Carniola, più precisamente la zona di Postumia e di Longatico.

Una zona di particolare tensione fu la città di Fiume, già ungherese, e rivendicata dall’Italia (anche se non inclusa nel Patto di Londra). La città venne occupata arbitrariamente da Gabriele D’Annunzio il 12 settembre 1919, al comando di un gruppo composito di ex militari e irredentisti di diverse tendenze, ma dopo gli accordi di Rapallo gli occupanti vennero allontanati dall’esercito italiano (31.12.1920), in quanto era stato istituito lo Stato Libero di Fiume che comprendeva la maggior parte del Corpus autonomo ungherese, più una stretta fascia costiera fino al confine italiano.
Alcuni anni dopo, una variazione rilevante nel tracciato dei confini nella zona dell’Alto Adriatico riguardò ancora il territorio di Fiume, che fu annesso all’Italia, in base all’Accordo di Roma del 27 gennaio 1924, tra Regno d’Italia e Regno dei Serbi, Croati e Sloveni.

Lo Stato Libero di Fiume aveva subìto nel 1922 un colpo di stato ad opera di gruppi nazionalisti e fascisti italiani, con la soppressione del legittimo governo autonomista. In base al nuovo accordo, parte del territorio settentrionale dello Stato Libero di Fiume e Porto Baross vennero ceduti alla Jugoslavia, mentre la città e una ridotta striscia costiera passarono all’Italia.

Il confine del 1924 durò invariato fino al 1941, ma gli stati confinari mutarono denominazione e anche caratterizzazione ideologica: il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni divenne tra il 1929 e il 1931 Regno di Jugoslavia e la Repubblica d’Austria nel 1938 venne annessa al Terzo Reich, con il nome di Ostmark.

Durante la Seconda Guerra Mondiale i confini tra Stati belligeranti variarono in continuazione ed anche i territori dell’Alto Adriatico furono soggetti a diversi cambiamenti. L’aggressione al Regno di Jugoslavia, iniziata il 6 aprile 1941 da parte dell’Italia, e la conseguente occupazione militare dei territori jugoslavi segnò la massima espansione del Regno d’Italia verso oriente. In particolare venne unito all’Italia un ampio territorio della Slovenia e della Dalmazia: le città di Lubiana, Novo Mesto e Koc?evje, e il loro territorio, vennero a costituire la Provincia “italiana” di Lubiana, annessa con il Regio Decreto Legge n. 291, del 3.5.1941; anche la Provincia di Fiume venne ampliata con il territorio occupato (da Sušak alla baia di Buccari e le isole di Veglia e Arbe); più a sud lungo la costa Dalmata vennero annesse all’Italia – con le stesse modalità – le città di Spalato, di Cattaro e un’ampia porzione attorno alla città italiana di Zara; tale territorio venne denominato Governatorato di Dalmazia (comprendente tre province, in base al Regio Decreto Legge n. 452, del 18.5.1941). Altre occupazioni italiane interessarono la parte più meridionale della Dalmazia, con l’ampliamento dell’Albania e con l’invasione del Montenegro. Nella parte centrale dei Balcani (Croazia e Bosnia) venne costituito un vasto stato collaborazionista, denominato Stato Indipendente Croato e affidato al capo ustascia Ante Pavelic?.

Dal 1943 l’Italia non fu più un paese occupante, ma a sua volta fu occupato nel corso dell’autunno; nella parte nord orientale l’occupazione tedesca ebbe conseguenze diverse rispetto ad altre regioni d’Italia, in quanto il territorio delle province di Udine, Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Lubiana venne escluso dal controllo politico e militare delle autorità italiane, cioè della Repubblica Sociale Italiana, lo stato collaborazionista costituito da Benito Mussolini. Quelle province, con il nome di “Zona di Operazione Litorale Adriatico”, vennero amministrate direttamente dalle autorità tedesche: Friedrich Rainer fu nominato Commissario Supremo. Una situazione analoga coinvolse le province di Bolzano, Trento e Belluno, denominate “Zona di Operazione Prealpi” e affidate al Commissario Supremo Franz Hofer.

La fase conclusiva della Seconda Guerra Mondiale – aprile-maggio 1945 – si presentò nell’area del Litorale Adriatico con due eserciti in movimento verso nord e in parte convergenti verso i centri urbani principali: dai Balcani la IV Armata jugoslava puntò decisamente su Trieste e su Gorizia, mentre dalla linea gotica partì l’offensiva anglo americana, con obiettivi strategici non limitati al nord Italia o alla Venezia Giulia, ma estesi anche all’Austria e alla Germania.
Accompagnato o preceduto da insurrezioni partigiane locali contro le forze naziste, il ritiro tedesco fu determinato dall’arrivo il 1° maggio 1945 dei militari della IV Armata jugoslava, che occuparono Trieste, Gorizia e la valle dell’Isonzo, e dalle truppe neozelandesi dell’esercito britannico giunte nello stesso territorio il 2 maggio. Il controllo delle città di Gorizia e di Trieste venne lasciato all’esercito jugoslavo, giunto per primo, ma senza determinare inizialmente una precisa linea di separazione delle zone di competenza dei due eserciti alleati.

Un primo accordo provvisorio, portò alla divisione della Venezia Giulia in due parti delimitate dalla “Linea Morgan”: la parte occidentale fu assegnata all’amministrazione dell’esercito anglo-americano (Zona A); la parte orientale assegnata all’amministrazione militare dell’esercito jugoslavo (Zona B). Alla Zona A fu assegnata anche la città di Pola, in Istria, con una limitata porzione territoriale. Tale demarcazione venne stabilita durante un incontro tenuto a Belgrado il 9 giugno 1945 tra i rappresentanti della Gran Bretagna e degli Stati Uniti con il Ministro degli Esteri jugoslavo. L’accordo prevedeva il controllo anglo-americano delle ferrovie e delle strade che si dirigevano da Trieste all’Austria, comprese le città di Gorizia, Caporetto e Tarvisio; divenne esecutivo il 12 giugno 1945, data in cui le truppe jugoslave si allontanarono da Pola, da Trieste, da Gorizia e, più a nord, ripiegarono sulla riva sinistra dell’Isonzo.

L’accordo fu perfezionato nei dettagli in un successivo incontro avvenuto a Duino (presso Trieste) il 20 giugno 1945 tra gli ufficiali William D. Morgan e Arso Jovanovic?, in rappresentanza dei rispettivi eserciti. La demarcazione attuata dalla “Linea Morgan” cessò il 10 febbraio 1947, con la conclusione delle trattative di pace di Parigi e fu abbandonata definitivamente dal 15 settembre 1947, quando il nuovo confine fu segnato. La “Linea Morgan” rispondeva principalmente alle esigenze militari anglo-americane, poiché il controllo delle vie di comunicazioni verso l’Austria era considerato di rilievo strategico per i rifornimenti delle truppe presenti in quel settore. Le Zone A e B della Venezia Giulia furono amministrate dall’autorità militare occupante: Governo Militare Alleato (AMG) e Governo Militare Jugoslavo (VUJA).

Il 10 febbraio 1947 venne firmato a Parigi il Trattato di Pace che stabiliva il nuovo confine tra la Repubblica Italiana, la Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia e la Repubblica d’Austria. Molte sono state le de- finizioni confinarie proposte dalle diverse delegazioni diplomatiche partecipanti. Le indicazioni più penalizzanti per l’Italia provennero dalla Jugoslavia e dall’Unione Sovietica in quanto prevedevano la cessione di Trieste, Gorizia, Tarvisio, Cividale, Grado e tutta l’Istria; le indicazioni meno punitive furono quelle inglese e statunitense, che seguivano nella parte settentrionale il confine che divideva fino al 1914 la provincia di Udine dal Litorale austriaco, ma nella parte meridionale lasciavano all’Italia Trieste, Gorizia, Gradisca e l’Istria occidentale da Capodistria fino a Pola; alla Jugoslavia venivano cedute Fiume e Pisino. La proposta francese nella parte settentrionale seguiva le indicazioni degli alleati, ma riduceva il territorio istriano da mantenere all’Italia, che si fermava a Cittanova e al fiume Quieto. Il Governo italiano indicò una linea di confine che si riferiva alla seconda proposta del presidente americano Wilson del 1919, rinunciando alle città di Fiume e di Zara. Nessuna variazione fu introdotta al confine tra Italia e Austria.

Le decisioni conclusive alla Conferenza di Pace, molto vicine alle proposte francesi, assegnarono gran parte della penisola istriana e la città di Fiume alla Jugoslavia, inoltre trasformarono quello che era stato fino al 1945 un limite amministrativo settentrionale tra le province di Gorizia e di Udine in confine di stato; la città di Gorizia fu assegnata all’Italia, ma il confine ne lambì la periferia nord orientale, in quanto divennero territorio jugoslavo tutto il corso superiore dell’Isonzo e la valle del Vipacco.

La novità più rilevante fu l’istituzione del Territorio Libero di Trieste, cioè di una stretta fascia costiera, che si estendeva da Duino fino al fiume Quieto, presso Cittanova in Istria. Ufficialmente il Territorio Libero di Trieste venne costituito il 16 settembre 1947 e prevedeva la scelta di un Governatore nominato congiuntamente da Italia e Jugoslavia, mentre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite garantiva la sua integrità territoriale e la sua indipendenza. Un accordo sulla nomina del Governatore non fu mai trovato e il Territorio Libero di Trieste rimase, fino al 1954, diviso in due parti: la Zona A (con Trieste), sotto l’amministrazione provvisoria del Governo Militare Alleato, e la Zona B, sotto l’amministrazione del Governo Militare Jugoslavo. Il confine tra le due zone rimase fissato lungo la parte meridionale della “Linea Morgan”, poco a sud del comune di Muggia.

Tra le condizioni che hanno determinato la scomparsa del Territorio Libero di Trieste, un ruolo determinante si deve attribuire ai mutati rapporti all’interno degli stati comunisti dell’est europeo: in particolare nell’anno 1948 si produsse una frattura di forte impatto politico, ideologico ed emotivo tra la Jugoslavia e l’Unione Sovietica (seguita dagli altri stati a governo comunista). Il nuovo scenario internazionale risultò evidente da un diverso atteggiamento delle potenze interessate ad un superamento duraturo dei nodi territoriali nell’area adriatica. Se nel marzo 1948 Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia si dichiarano favorevoli al ritorno di tutto il Territorio Libero di Trieste all’Italia, dopo il giugno 1948 – data della rottura tra Stalin e Tito – nella Zona B vennero abolite le barriere doganali con la Jugoslavia e fu este- sa la legislazione jugoslava, evidenziando l’intento di annessione dell’area; alla fine del 1951, a Parigi, ci furono degli incontri diretti (ma senza esito) tra Italia e Jugoslavia al fine di trovare una soluzione.

Appena nel corso del 1953 a seguito di uno stato di crescente tensione, con pressioni militari lungo i confini e soprattutto con la dichiarazione comune di Stati Uniti e Gran Bretagna (8.10.1953) sull’intenzione di riti- rare le proprie truppe dalla Zona A del Territorio Libero di Trieste – la nota Dichiarazione bipartita – furono avviati contatti determinanti per giungere ad una soluzione. Violenti scontri insorti a Trieste nel novembre del 1953 segnalarono a livello locale le aspettative e le tensioni politiche che la “questione” di Trieste suscitava in larghi settori della società giuliana e italiana in genere. Il 5 ottobre 1954 venne firmato a Londra il Memorandum d’intesa tra Italia e Jugoslavia in base al quale si stabilì l’assegna- zione della Zona A all’amministrazione italiana e della Zona B a quella jugoslava, attuata concretamente il 26 ottobre 1954. Il superamento del Territorio Libero di Trieste venne definitivamente confermato dal Trattato di Osimo (10.11.1975) che pose fine alle incertezze sulla stabilità territo- riale di quanto deciso nel 1954.

Sul finire del secolo scorso, la formazione di nuovi Stati sul territorio della Jugoslavia dopo il 1991 non modificò i precedenti confini, né con la Repubblica Italiana né con la Repubblica Austriaca, ma determinò la comparsa di nuove formazioni statali sullo scacchiere geopolitico europeo. In particolare la nascita della Slovenia e della Croazia, e del confine tra le due repubbliche che divise la penisola istriana, determinò inediti scenari territoriali e politici in tutta l’area alto adriatica.

La Repubblica di Slovenia a seguito di un referendum, tenutosi alla fine di dicembre del 1990, dichiarò la propria indipendenza dalla Jugoslavia e approvò una nuova costituzione il 25 giugno 1991. L’intervento dell’esercito federale jugoslavo diede avvio ad un conflitto con le forze armate slovene che si protrasse dal 26 giugno all’8 luglio 1991 e si concluse con il ritiro dal territorio della Slovenia di tutte le forze armate federali nel successivo mese di ottobre.
Anche la Repubblica di Croazia organizzò un referendum (19.5.1991) e una settimana dopo proclamò la propria indipendenza. La composizione sociale e le condizioni politiche della Croazia non favorirono una transizione rapida e incruenta verso l’indipendenza dalla Jugoslavia; la solida minoranza serba presente sul territorio non partecipò al referendum e contestò le scelte del governo Croato, dando avvio prima a scontri localizzati, poi ad una guerra di ampie proporzioni, con il coinvolgimento dell’esercito federale, durata dal 1991 fino al 1995. Significativi cambiamenti nei rapporti tra gli Stati dell’Alto Adriatico sono legati all’Unione Europea, di cui fanno parte con l’Italia – membro costituente fin dal 1958 della Comunità Economica Europea – anche l’Austria e la Slovenia, entrate a far parte dell’unione rispettivamente nel 1995 e nel 2004.

 

 


Della stessa tematica