La Chiesa di Aquileia e il Patriarcato. Origini e sviluppo signorile (secoli III-XII)

Medioevo



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di Andrea Tilatti

Le modalità secondo le quali il cristianesimo originò e si diffuse nel territorio attualmente denominato Friuli non sono note sulla base di testimonianze storiche inequivocabili. La tradizione agiografica, tarda e stratificata, vorrebbe che esse risalissero all’opera apostolica dell’evangelista Marco, seguito dal discepolo Ermacora. Tuttavia, di una comunità cristiana organizzata ad Aquileia si può verosimilmente parlare nella seconda metà del III secolo e sicuramente la chiesa aquileiese può vantare alcuni martiri, come i Canziani. Nel IV secolo è evidente, anche dal punto di vista archeologico, lo sviluppo dell’episcopato locale, che si giovò pure dell’importante ruolo amministrativo di Aquileia, città principale della X Regio augustea, in seguito denominata Venetia et Histria, comprendente grosso modo l’attuale triveneto e qualche propaggine lombarda e sloveno-carinziana.

Dal IV secolo, si moltiplicarono gli episcopati, poi sottoposti all’autorità metropolitica dei vescovi aquileiesi (Concordia, Iulium Carnicum = Zuglio, Aemona = Lubiana, Parentium = Parenzo, Tergeste…), che trovava territorialmente un limite con la medesima autorità impersonata dai vescovi di Milano (V secolo). La qualifica di patriarca, però, fu usata solo a partire dagli anni attorno alla metà del VI secolo, e fu un titolo auto-assunto, presumibilmente nel contesto dello scisma dei tre capitoli, che separò Aquileia (e altre chiese dell’Italia annonaria) dalla comunione con Roma (557-698 ca.). La frattura dottrinale trovò da lì a poco linfa anche nella rottura politica determinata dalla migrazione dei popoli coordinati dai Longobardi (568), che separò il retroterra longobardo imperniato sul ducato forogiuliese (Forum Iulii = Cividale) dalla fascia costiera bizantina. Tale assetto politico militare portò anche un’ulteriore complicazione, all’inizio del VII secolo: lo sdoppiamento della sede aquileiese. Infatti, il patriarca minacciato dai Longobardi aveva trovato – non si sa se stabilmente – rifugio a Grado, dove nel 606 si insediò un “nuovo” presule tendenzialmente in comunità con Roma, mentre rimase viva anche la successione dell’altro vescovo scismatico, rientrato nella zona d’influenza longobarda. Bisogna notare che entrambi i vescovi continuarono a dirsi patriarchi ed entrambi rivendicavano la titolarità di Aquileia.

Per quanto sia difficile seguirne le dinamiche, durante i secoli altomedievali si sviluppò tra di loro una lunga polemica, punteggiata anche da violenze e confronti militari. Un chiarimento definitivo si ebbe solo verso lo scadere del secolo XII. Tuttavia, già in epoca carolingia le prerogative territoriali e metropolitane dei patriarchi insediati ad Aquileia, sebbene residenti di preferenza in Cividale, ebbero alcune definizioni imposte o sostenute dal potere della dinastia franca. Nell’811 Carlo Magno, giudicando la controversia per il possesso della Carantania, stabilì il fiume Drava come confine con la metropoli di Salisburgo; nell’827, a Mantova, con la mediazione imperiale e papale si tentò di definire le competenze delle chiese aquileiese e gradese. Tali intese, e sopra tutto la seconda, non si rivelarono risolutive e concernevano l’ambito provinciale.

Un discorso ulteriore concerne il lento sviluppo di prerogative signorili e territoriali da parte dei patriarchi aquileiesi. Fin dal secolo VIII, infatti, si possono cogliere gli indizi di concessioni patrimoniali e di diritti pubblici che condussero allo sviluppo di un potere signorile, fondato sia su estese proprietà o possessi immobiliari, sia sulla disponibilità di diritti pubblici (solo a titolo d’esempio: potestà giudiziaria o fiscale, oppure controllo di corsi d’acqua o porti o di diritti di pascolo, pesca, caccia…). A motivo dell’estensione e dell’intensità, un tale accumulo costituì la principale peculiarità del patriarcato. Già Carlo Magno iniziò a concedere al patriarca Paolino (787-802) alcuni privilegi immunitari e i sovrani carolingi o italici successivi continuarono a elargire donazioni o esenzioni, fino al secolo XI, che vide il più largo dispiegarsi del potere signorile patriarcale.

In questo periodo si delinearono complesse realtà territoriali, che, sotto l’unico nome di Aquileia, riconducono a diverse concezioni dello spazio e delle fisionomie del potere su di esso esercitato dagli ordinari. Se si considerano infatti i patriarchi come vescovi, si deve pensare a una diocesi molto estesa, che comprendeva grosso modo il Friuli a oriente del Tagliamento, la Carnia, il Cadore, la porzione meridionale della Carinzia, la Carniola, la Stiria meridionale slovena.

Ma i patriarchi, come detto, erano anche metropoliti e le loro competenze mutarono spesso nel corso dei secoli. La provincia ecclesiastica documentata nel V secolo sembra comprendere la Venetia et Histria. Le liste episcopali riscontrabili in atti sinodali del VI secolo profilano l’ampliamento del numero delle diocesi suffraganee (22 o 24), con l’aggregazione di Como, a occidente, e di altre sedi a oriente e settentrione (fino al Norico mediterraneo, alla Pannonia I, alla Retia II). L’avvento dei Longobardi segnò una rideterminazione a meridione, con la perdita di Grado e di alcune sedi istriane. Un’altra limitazione fu imposta dalla fondazione della metropoli di Salisburgo (798). Nel XII secolo si stabilizzò il numero di 17 suffraganee: Como, Mantova, Trento, Verona, Padova, Vicenza, Treviso, Concordia, Ceneda, Feltre-Belluno, Pola, Parenzo, Trieste, Pedena, Giustinopoli (Capodistria), Emona (Cittanova d’Istria), che rimase tale sino al XV secolo. In questa vasta area, i presuli aquileiesi continuarono a esercitare le loro funzioni di coordinamento e di vigilanza sugli episcopati suffraganei.

La terza dimensione spaziale che spetta ai patriarchi è quella del potere politico. Essa è quella che ha lasciato le più consistenti tracce documentarie e ha anche riscosso le maggiori fortune storiografiche e si riconnette innanzi tutto all’elaborazione del concetto “regionale” di Friuli, riconducibile empiricamente all’estensione del ducato longobardo di Cividale/Forum Iulii, compreso circa tra il Timavo e il Livenza, con a settentrione il crinale alpino e a meridione il mare. Su questo territorio, nei secoli tra il IX e l’XI si estesero le prerogative signorili dei patriarchi, giungendo nel 1077 con Sicardo/Sigeardo (1068-1077) ad acquisire da Enrico IV, senza mediazione feudale, le prerogative pubbliche più alte: il comitato e il ducato, a spese delle residue presenze di ufficiali pubblici sempre più esangui e incapaci di assumere una fisionomia dinastica. I patriarchi ebbero anche altre competenze signorili a decorrere dal secolo XI: il marchesato d’Istria e la marca di Carniola. Il secondo fu un possesso effimero, a differenza del primo, ma in nessun caso l’intensità del potere patriarcale fu paragonabile a quella che i prelati riuscirono ad esprimere sul Friuli.

Il processo che condusse al diploma regio del 1077 (che, per inciso, è solo presuntivamente datato al 3 aprile), di solito ma impropriamente concepito come l’atto di nascita dello “stato” patriarcale, fu lungo e fu agevolato da alcune condizioni peculiari. Come detto, i prodromi si possono cogliere nell’epoca carolingia, se non prima, con la costituzione di un’estesa base patrimoniale fondiaria. Una precondizione, certamente non esclusiva, fu il rapporto simbiotico che si stabilì tra potere politico regio e l’istituzione ecclesiastica-episcopale. La specifica importanza della chiesa aquileiese, però, accrebbe la benevolenza di re e imperatori verso i suoi ordinari. Il vincolo tra i patriarchi e il potere pubblico non si interruppe nei secoli IX e X; le debolezze del secondo (note come processo di dissoluzione del potere centrale regio) si tradussero in altrettante occasioni di irrobustimento dei primi, favoriti pure da un labile radicamento delle famiglie comitali, o comunque insignite di funzioni pubbliche, e dalla sostanziale assenza in Friuli di centri urbani di grandi dimensioni. Il secolo X vide così il costante accumulo di beni patrimoniali e di diritti pubblici da parte dei patriarchi, quasi sempre usciti dai ranghi di famiglie aristocratiche di origine germanica e capaci di tessere larghe reti di solidarietà e di interessi. Il legame rimase stabile, e anzi più efficace, dopo che la casa di Sassonia ricostituì una salda potestà imperiale. In questo lungo periodo, spiccano l’incameramento della diocesi di Concordia (928), di una serie di monasteri, tra i quali Santa Maria di Sesto (967) e altri anche in ambiti extradiocesani (Santa Maria in Organo, a Verona, Santa Maria di Pero nel Trevigiano), di un numero crescente di castelli e di villaggi, con le rispettive territorialità, e fra essi anche quelli di Udine, Buja, Fagagna e Gruagno (983). Nel 1001 il patriarca, per concessione imperiale, condivise il possesso di Gorizia e di una buona parte del Friuli con la famiglia comitale forogiuliese. La sequela degli accrescimenti quantitativi e qualitativi delle attribuzioni signorili aquileiesi accelerò con i vescovi del primo secolo XI, in particolare con Poppone (1019-1042). I patriarchi divennero così, per la loro intrinseca potenza, tra i più importanti interlocutori politici e militari dei re di Germania e il diploma del 1077 costituì piuttosto il riconoscimento di un dato di fatto, che una novità assoluta.

In ogni caso, tra i secoli XI e XII, il potere politico, economico e militare dei patriarchi d’Aquileia, sommato a quello derivante dalle peculiari funzioni episcopali e metropolitiche, assunse un rilievo tale da surclassare ogni rivale interno e da misurarsi con efficacia con potenze signorili esterne, sia laiche, sia ecclesiastiche, sia cittadine. I presuli del secolo XII, inoltre, superate le fasi più critiche del conflitto tra impero e papato, che si svolse nel cinquantennio di transito tra i secoli XI e XII, seppero diventare le ideali controparti di entrambi i poteri universali, giocando abilmente ruoli di mediazione o di partecipazione a dinamiche conflittuali, che fruttarono riconoscimenti o estensioni delle prerogative detenute.

Solo a partire dalla metà del XII secolo, iniziarono a profilarsi competitori interni, come i conti di Gorizia, ed esterni, come Venezia e le città comunali venete, in particolare Treviso, capaci di mettere in difficoltà la potenza patriarcale, specialmente nei momenti di indebolimento dell’autorità imperiale. È una situazione che si riprodurrà, estendendosi e complicandosi, nei secoli bassomedievali.

 

Bibliografia essenziale

Paschini P., Storia del Friuli, Udine 1934-1936 e successive edizioni e ristampe (per un inquadramento generale).

Bratož R., Il cristianesimo aquileiese prima di Costantino: fra Aquileia e Poetovio, Istituto Pio Paschini per la Storia della Chiesa in Friuli - Istituto di Storia sociale e religiosa, Udine-Gorizia 1999.

Cammarosano P., L’alto medioevo, in Storia della società friulana, Il medioevo, a cura di Paolo Cammarosano, Casamassima, Udine 1988, pp. 11-155;

Aquileia e il suo patriarcato, Atti del Convegno internazionale di studio (Udine, 21-23 ottobre 1999), a cura di S. Tavano, G. Bergamini, S. Cavazza, Udine 2000.

Molto utile è la consultazione della rivista «Memorie storiche forogiuliesi» e del Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani, consultabile online: http://www.dizionariobiograficodeifriulani.it/


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