Il ruolo dell’Ozna nella transizione fra guerra e dopoguerra

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di Orietta Moscarda

L’organo di intelligence e sicurezza dell’esercito partigiano, l’Ozna, e il suo braccio armato, il Knoj, furono direttamente collegati alle violenze che si manifestarono in Istria e a Fiume nella transizione tra guerra e dopoguerra. Il suo ruolo perciò si rivelò determinante nella presa del potere e nella resa dei conti nei confronti degli occupanti tedeschi e italiani, ma anche di tutti i potenziali o presunti collaborazionisti e nemici di classe. Il comportamento violento delle strutture dell’Ozna, che prevedeval’eliminazione su larga scala dei nemici del popolo al momento della presa del potere da parte del Mpl jugoslavo, fu così esteso ai territori abitati da italiani con l’obiettivo di eliminare tutto ciò che era legato all’ordine precedente e creare un nuovo potere “popolare”.

Il Servizio per la sicurezza del popolo, ovvero l’Ozna, era nato su decreto di Tito nella primavera del 1944 e qualche mese più tardi era stato creato il Corpo di difesa popolare della Jugoslavia, ovvero il Knoj. Si trattava di un organo informativo che seguiva lo schema organizzativo della polizia segreta sovietica, l’Nkvd, con un nucleo presente in ogni struttura e a tutti i livelli del Mpl jugoslavo (comitati di partito, unità militari e comitati popolari di liberazione).  Inizialmente l’Ozna ebbe una funzione politica, di controllo del territorio liberato, e subordinata al partito; ben presto però, sviluppandosi in un organismo indipendente, il partito non ne controllò più l’attività.

Nell’estate del 1944 l’apparato d’intelligence e sicurezza in Istria poteva contare su un battaglione (il II) incluso nella IV brigata dell’Ozna. All’inizio del 1945, esso comprendeva una rete di collaboratori diramata in tutte le cittadine e i centri istriani, che fornivano, chi per convinzione, chi per delazione, ricatto o costrizione, una gran mole di dati sull’attività politica e militare dei nemici e non solo. Il metodo di lavoro degli organismi periferici istriani seguiva le medesime modalità d’azione praticate nel resto dei territori croati; una parte importante consisteva nella compilazione di relazioni politico-informative e di elenchi di persone, di gruppi, di partiti che non avevano partecipato alla lotta di liberazione o che erano contrari al Mpl, ma anche di tutti i rappresentanti del Terzo reich, delle forze militari tedesche e fasciste, di tutte le organizzazioni di partito, di quelle giovanili, come pure di tutte le istituzioni civili, militari e  intellettuali.

Con l’avvicinarsi della presa del potere, nel marzo 1945, l’Ozna per l’Istria fu riorganizzata, con l’istituzione di un centro e di un apparato regionale, completamente indipendente dalle altre strutture del potere partigiano, mentre dalla “lotta contro gli eserciti nemici”, si passò a quella contro la “reazione” interna al Mpl e alle “sue diverse forme di sabotaggio”. L’Ozna suddivise perciò i suoi avversari o nemici politici in vari gruppi reazionari, che nei centri istriani corrispondevano al clero (in particolare quello italiano) e agli italiani in generale.

Fino al marzo 1946 l’Ozna fu alle dirette dipendenze del Ministero della difesa popolare federale, quando furono separate la sezione militare da quella civile, con la nascita dei Servizi informativo militare (Vojno Obavještajna Služba - Vos) e di controspionaggio (Kontra Obavještajna Služba - Kos) e dell’Amministrazione per la sicurezza statale (Uprava Državne Bezbednosti – Udba).

L’Ozna fu direttamente collegata alle violenze di massa che si manifestarono con l’arrivo delle formazioni partigiane nel maggio 1945, quando ci furono incarcerazioni e deportazioni, ma anche uccisioni e scomparse nelle foibe di soldati italiani e tedeschi, di quadri intermedi del fascismo, guardie civiche, guardie di finanza, partigiani italiani contrari all’egemonia del Mpl e cittadini (sloveni, croati e italiani) considerati nemici di classe e perciò contrari al comunismo. Assieme ai nuovi organi amministrativi del potere, l’Ozna ebbe pure il compito di procedere al sequestro di tutti i beni relativi a tali nemici del popolo, che con la loro confisca sarebbero confluiti nel processo di statalizzazione dell’economia. Le strutture informative, che assieme a quelle militari e giudiziarie costituirono i capisaldi del nuovo regime, ebbero un ruolo determinante nella presa del potere e nella resa dei conti nei confronti degli occupanti (tedeschi, italiani), ma anche di tutti i potenziali e presunti collaboratori e nemici di classe.

   La funzione repressiva dell’Ozna era stata stabilita da precisi accordi tra la sua dirigenza e i corpi d’armata dell’esercito partigiano, nei quali erano state fissate le modalità di entrata nel territorio al momento della presa del potere da parte delle truppe jugoslave nei diversi centri da “liberare”. Così, durante le fasi di liberazione del territorio istriano ad entrare per primi nelle cittadine furono i rappresentati dell’esercito, le truppe armate dell’Ozna (il Knoj) e gli organismi dell’Ozna.

Inizialmente, tutto il potere, in particolare quello amministrativo, fu concentrato nelle mani dell’Ozna, ai cui ordini dovevano sottostare pure gli organismi amministrativi dei Comitati popolari di liberazione. L’Ozna aveva il compito di ripulire il territorio dai nemici interni e concluderlo nel giro di pochi giorni, per cedere poi i poteri ai Comitati popolari, i quali avrebbero organizzato la struttura politica e quella del nuovo potere popolare. Tuttavia, per un lungo periodo dopo la fine delle operazioni belliche, l’Ozna ebbe il controllo sull’apparato amministrativo e sulla Milizia popolare in particolare, che a loro volta avevano il compito di bonificare politicamente le istituzioni e la cittadinanza, da presunti e reali nemici e preparare così alla presa del potere. I metodi usati nei confronti di militari e civili andavano dalle incarcerazioni, all’invio nei campi di concentramento, alle deportazioni, ma anche uccisioni, e scomparsa nelle foibe di soldati italiani e tedeschi, di quadri intermedi del fascismo, guardie di finanza, guardie civiche, esponenti del CLN, partigiani italiani contrari all’egemonia del Mpl e cittadini (italiani, croati e sloveni) considerati nemici di classe, ovvero contrari al comunismo.  

La repressione messa in atto anche a guerra finita e soprattutto nel biennio successivo, portò all’eliminazione non solo dei nemici di ieri, ma anche di quanti avrebbero potuto mettere in discussione gli obiettivi politici dei comunisti jugoslavi, che nel territorio della Venezia Giulia consistevano nell’annessione della regione e, contemporaneamente, nella creazione di un nuovo ordine politico, il potere popolare. Nei due anni che precedettero il Trattato di pace, ogni oppositore politico (esponenti di qualsiasi partito diverso da quello comunista), sociale (piccola e grande borghesia, ceto medio), religioso o culturale (gli intellettuali) sarebbe stato etichettato come collaborazionista, o nemico del popolo, mentre un’epurazione preventiva avrebbe neutralizzato tutti i nemici reali e presunti del nuovo regime.

La lotta politica che l’Ozna sviluppò ben prima della fine della guerra fu perciò una lotta condotta con sistemi diversi da quelli usati contro l’occupatore e i suoi collaboratori, perché l’obiettivo fu quello di ostacolare e reprimere i gruppi nemici, ma soprattutto il clero, assieme alle forze antifasciste italiane che, anche se deboli, contrastavano le rivendicazioni nazionali jugoslave, e finivano quindi per venir considerate alla stregua dei fascisti, tutti accomunati nella categoria di «forze reazionarie». Il territorio istriano e in genere quello giuliano fu “normalizzato” tramite l’eliminazione di quei gruppi politici che i comunisti jugoslavi percepivano come opposizione, anche solo potenziale, di matrice politica e nazionale. E i gruppi da colpire alla fine della guerra e nel momento della presa del potere erano già ben noti e conosciuti. Nella zona di Fiume i nemici principali furono individuati negli autonomisti, perché godevano di forte consenso e di autorevolezza politica fra la popolazione, impedendo al Mpl di coinvolgerli e di inserirli nelle proprie strutture, mentre nei diversi centri istriani operavano diversi gruppi “reazionari italiani”. Tali gruppi rappresentavano di fatto degli oppositori politici al nuovo potere e un ostacolo all’annessione del territorio alla Jugoslavia.

Durante l’estate, l’Ozna continuò con gli abusi, le perquisizioni, i sequestri e le confische di beni, che favorirono lo sviluppo di attriti nazionali tra le autorità e la popolazione italiana. In questi primi mesi di nuova amministrazione, soprattutto le violenze della Milizia popolare si contarono un po’ dappertutto. A Fiume furono eliminati i principali esponenti dell’autonomismo e del sindacalismo fiumano.

Tra gli oppositori politici più pericolosi del Mpl furono considerate la Chiesa e in particolare il clero di nazionalità italiana, che vedeva i massimi rappresentanti nei vescovi della diocesi di Parenzo-Pola, Raffaele Radossi, e della diocesi di Trieste-Capodistria, Antonio Santin. I religiosi italiani furono infatti oggetto di una politica di persecuzione da parte dell’Ozna, in quanto contrari alla politica del regime comunista e sostenitori del mantenimento della sovranità italiana. A guerra finita, l’azione politica del nuovo potere si concentrò su un processo di “differenziazione” fra i sacerdoti, soprattutto in base alla nazionalità, e in funzione annessionistica, processo che risultò più evidente nel 1946 quando furono arrestati diversi religiosi e qualcuno pagò con la vita.

 

Bibliografia essenziale

Klinger William, Ozna. Il terrore del popolo. Storia della polizia politica di Tito, Luglio, Trieste 2015.

Moscarda Oblak Orietta, Forme di violenza in Istria tre guerra e secondo dopoguerra, in “Storia e problemi contemporanei”, fasc. 74, Franco Angeli, Milano 2017, pp. 59-74.

Apih Elio, Le foibe giuliane, a cura di Roberto Spazzali, Marina Cattaruzza, Orietta Moscarda Oblak, Leg, Gorizia 2010.

Moscarda Oblak Orietta, L’elaborato sull’attività delle organizzazioni e gruppi nemici a Fiume dell’ottobre 1946, in “Quaderni”, vol. XXIX, Centro di ricerche storiche, Rovigno 2018, pp. 7-79.


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