La Benecia veneta (1420-1797)

Età moderna



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di Michela Giorgiutti

Nell’uso patriarchino il termine Schiavonia o Slavonia indicava l’area etnica e linguistica slovena del Friuli. Sclavonia, Slavia veneta, Slavia friulana, Slavia italiana, Benecia e Beneška Slovenija (da Benetke, Venezia) sono tutte varianti toponimiche assunte da questo territorio in conseguenza alle riorganizzazioni giurisdizionali e amministrative locali. Se nei secoli XIII e XIV il termine venne usato per indicare la presenza stabile di popolazioni slovene, dislocate tra le montagne resiane e le alture settentrionali del cividalese a confine con la Carniola, durante il periodo veneto il termine Benecia individuò l’area originaria di stanziamento delle comunità slavofone nelle valli comprese tra il fiume Natisone ed i suoi affluenti (Alberone, Cosizza, Erbezzo). Coincidente con il confine orientale della Patria del Friuli, l'area fu stimata in circa 400 km2 e individuata a ovest dall’asse che congiungeva Ponte San Quirino alla Chiusa di Stupizza, a nord dalla linea immaginaria che corre attraverso i monti Mia, Matajur, Cucco e Kolovrat, ad est dal corso del torrente Judrio fino a Castelmonte. Durante le vicissitudini della guerra veneto-imperiale, in base alla tregua di Bruxelles del 1517 ed ai capitoli di Worms del 3 maggio 1521, i villaggi posti sul lato destro dell’Isonzo segnarono il confine tra il territorio veneto e quello asburgico, facendo entrare in uso l’appellativo di Schiavonia veneta (Beneška Slovenija) per indicare la sua doppia entità culturale e territoriale. Essendo una zona di confine tra il dominio veneziano e quello asburgico, essa fu un'area particolamente delicata e la precarietà dei concordati raggiunti tra le parti portò solo a temporanee soluzioni, tanto che i provveditori alla Camera dei Confini della Serenissima costituirono nel 1663 un archivio appositamente dedicato; solo a metà Settecento, con la politica di Maria Teresa d’Austria, vennero fissati i rispettivi limiti territoriali e dalla prima commissione (1748) a quelle riunitesi a Mauthen (Monte Croce), a Pontebba, a Cormons ed infine a Gorizia (1753-1755), si giunse alla stesura di un accordo definitivo. Dal punto di vista amministrativo, il territorio della Benecia era inserito in un’ampia area a nord di Cividale, caratterizzata da una forte frammentazione ed eterogeneità geo-morfologica, tanto che per la distribuzione delle imposte venne  suddivisa tra «ville in monti» e «ville in piano». Con la ducale del 12 ottobre 1658 di Giovanni Pesaro, fu sancita la separazione del territorio da Cividale e dalla stessa Patria del Friuli, ponendo la Benecia sotto il diretto controllo veneziano. Vennero individuate due convalli facenti capo ai centri di Antro e di Merso, spazialmente distinte dal fiume Natisone, le quali andarono a costituire le contrade di Antro e di San Leonardo. Ulteriori conferme di separazione territoriale si ripeterono dal 1660 al 1665, nel 1715 e nel 1720. La terminazione del 24 settembre 1722 descrisse 36 ville componenti le convalli di Antro e Merso: Vernasso, Biacis, Erbez, Cepletischis, Vernassino, Clenia, Ponteacco, Clastra, Luicco, Tribil di Sopra, Stregna, Altana, Lasiz, Tarcetta, Mersino, Savogna, Azzida, San Pietro, Brischis, Cosizza, Drenchia, Oblizza, Podpecchio, San Leonardo, Spignon, Pegliano, Montemaggiore, Brizza, Sorzento, Biarz, Rodda, Grimacco, Costne, Cravero, Tribil di Sotto, Merso di Sotto. Ogni convalle organizzava le vicinie in entità comunali rette da decani, che a loro volta, assieme a due o tre deputati, rappresentavano gli interessi della rispettiva convalle nell’arengo grande o unito (la vicinanza grande) ossia la riunione congiunta della Schiavonia, presieduta da due sindici, uno per convalle, due decani, due giurati e dai deputati di Antro e Merso. Al vertice della gerarchia, eletti da tutti i decani delle convalli, si trovavano i decani grandi o sindici. Fin dai tempi del dominio patriarcale, gli abitanti dei villaggi disposti lungo la fascia compresa tra il monte Mia ed il Kolovrat, erano stati incaricati di controllare i passi montani e le strade comunicanti. Dopo l’alleanza tra la città di Cividale e Venezia (13 luglio 1419), il compito di custodire i confini della Patria venne più volte riconfermato dalla Serenissima, non solo in caso di guerra con la difesa degli accessi, ma anche vigilando sulle merci importate o esportate ed a salvaguardia dalle epidemie. Cinque erano i passi interessati: la strada del Pulfero che giungeva ai piedi del monte Mia, il passo di Luico a ridosso del monte Cucco, i villaggi di Clabuzzaro e di Cliniz verso la catena del Kolovrat e la strada di San Nicolò. La sorveglianza si tradusse in manutenzioni, in ricostruzioni stradali ed assegnazioni di responsabilità a livello viciniale, che implicarono un carico di spese ritenuto insostenibile dalle popolazioni residenti. Il riconoscimento del ruolo strategico svolto nel difendere i confini portò Venezia a riconoscere alla Slavia diverse esenzoni fiscali. Il primo documento che garantì alla Schiavonia l’esenzione dalle imposte, risale al 15 Novembre del 1450 ad opera di Francesco Foscari, a cui seguirono numerose conferme (1455, 1464, 1492, 1532, 1538, 1550, 1559, 1579, 1622, 1658, 1659, 1660, 1663, 1664, 1665, 1668, 1674). In base a tale riconoscimento, i rappresentanti dei villaggi chiesero il rispetto di immunità fiscali o la concessione di nuove esenzioni ogniqualvolta nuove imposizioni fiscali, ordinarie o straordinarie, giunsero dal provveditore di Cividale. A parte l’obbligatorietà di provvisioni straordinarie stabilite da ducale, vennero eluse l'imposta sul transito degli animali (29 settembre 1633), il dazio delle carni (19 maggio 1635), il dazio dell’acquavite (28 marzo 1642), l’imposta militare (17 giugno 1644), il dazio del vino (29 settembre 1648), il dazio sulla macellazione del bestiame (5 ottobre 1652), il dazio della macina (29 settembre 1662). A sostegno della necessità di tali esenzioni, i sindici sottolinearono più volte alle magistrature veneziane la diffusa povertà dei villaggi schiavoni, causata non solo dalle condizioni morfologiche del territorio, ma anche dalle conseguenze delle vicende economiche e politiche della vicina Cividale, centro di riferimento per il commercio. Durante il Cinquecento, infatti, terminarono le attività minerarie in Idria e la perdita del Capitanato di Tolmino modificò gli assi viari, escludendo le Valli del Natisone. Con il Seicento, i traffici commerciali si indebolirono, provocando quasi l’interruzione del vitale legame tra Cividale e le regioni orientali slave e tedesche. Ebbe inizio una frattura tra le Valli del Natisone e le Valli dell’Isonzo quando lo squilibrio dell’economia agrario-mercantile-artigianale del cividalese aumentò la fragilità del sistema manifatturiero e si dimostrò sempre più dipendente dal settore agricolo. Le suppliche per far riconoscere legittime le esenzioni ritornarono in concomitanza con congiunture negative (tra 1635 e 1668, nel 1629-1630 a causa di carestie ed epidemie e nel 1641 per le spese di fortificazione in funzione anti-turca). All'impoverimento della Benecia contribuirono anche l’ubicazione dei villaggi poco raggiungibili e i numerosi terreni incolti, che superarono nel numero i pascoli e gli arativi. La stima di redditività della terra è stata calcolata del 3-4


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