L'istituzione delle Arcidiocesi di Gorizia e di Udine (1752, 1753)

Età moderna



Scarica il PDF

di Michela Giorgiutti

L'istituzione delle due arcidiocesi fu il risultato di un lungo processo diplomatico, che trova la sua origine all'inizio della dominazione veneziana. Durante il Cinquecento, il patriarcato fu oggetto sia delle attenzioni della Casa d'Austria, che richiedeva una rotazione nella nazionalità dei patriarchi, dei canonici del Capitolo e della Curia aquileiese, sia della politica di Venezia, che esigeva la restituzione della città di Aquileia quale feudo patriarcale. Il confine stabilito nel 1508 tra la Repubblica e l'Impero divideva il territorio della diocesi aquileiese in due parti e la mancata coincidenza tra i confini politici ed ecclesiastici fu il motivo di continui contrasti per oltre due secoli. L'imperatore avanzò più volte le sue rimostranze al pontefice perché, a partire dal Cinquecento, era divenuta consuetudine che la successione del coadiutore del patriarca fosse appannaggio di famiglie nobili veneziane. Per affrontare tale questione, nel 1625 fu nominata una commissione di cardinali, che propose al pontefice di creare due patriarcati; tale soluzione non piacque al pontefice, che mantenne lo status quo e nominò patriarca un altro veneziano, Agostino Gradenigo, all'indomani della morte del Grimani nel 1628. Le relazioni con l'Impero si fecero tese e nello stesso anno, il 12 febbraio 1628, Ferdinando II pubblicò un editto che proibì agli ecclesiastici austriaci di riconoscere la legittimità dell'elezione del nuovo patriarca. Venne allora stabilita una regola di compromesso secondo la quale la nunziatura di Vienna, sentito il parere del patriarca, poteva emanare le disposizioni necessarie per il governo della parte austriaca della diocesi e trasmetterle alla rete degli arcidiaconi; per tutto il Seicento le consultazioni diplomatiche tra i due Stati si risolsero temporaneamente con la nomina a Vienna di un nunzio pontificio con giurisdizione ordinaria sulla parte imperiale del patriarcato. L'indecisa posizione del pontefice sulla particolarità del caso aquileiese e la difficoltà nel trovare una soluzione a breve termine fecero sì che la nomina patriarcale rimanesse nelle mani di due famiglie veneziane, prima i Gradenigo (Agostino dal 1628 al 1629; Marco dal 1629 al 1656) e poi i Dolfin (Giovanni dal 1657 al 1699; Dionisio dal 1699 al 1734; Daniele dal 1734 al 1751). La reazione austriaca non mancò e nel 1719 l'imperatore pubblicò a Graz un nuovo editto, che vietava ai sudditi austriaci di riconoscere l'autorità di un patriarca eletto senza il consenso imperiale. La questione non trovò soluzione, finché venne affrontata e portata a compimento con i progetti di rinnovamento statale dell'imperatrice Maria Teresa. La riforma amministrativa dell'Impero da lei attuata coinvolse anche l'organizzazione ecclesiastica, per la quale si propose l'istituzione di un vescovado austriaco con sede a Gorizia, avente la giurisdizione spirituale sulla parte austriaca del patriarcato: una proposta ritenuta utile per rispondere anche alla delineazione del confine orientale, in relazione al riconoscimento dell'autorità politica ed ecclesiastica. L'imperatrice incaricò il padre cappuccino Agostino da Lugano, già predicatore a Udine nel 1731 e poi a Vienna, di avviare le trattative con il pontefice per giungere in breve ad una soluzione; la proposta avanzata nel 1742 fu di sopprimere il patriarcato di Aquileia e di costituire due arcivescovadi (uno a Gorizia e l'altro a Udine); però, Benedetto XIV, che aveva in progetto il rinnovamento delle istituzioni diocesane, con un breve del 29 novembre 1749 stabilì che la parte austriaca della diocesi di Aquileia venisse amministrata da un vicario apostolico di dignità episcopale, nominato dal pontefice e con la residenza a Gorizia. Una quota considerevole per sostenere le spese di costituzione dell'arcivescovado di Gorizia (circa 100.000 fiorini) pervenne dal barone goriziano Agostino Codelli, che si riservò il diritto di nomina del preposito del Capitolo e del parroco di Mossa. Tale contributo fu accolto con favore dall'imperatrice, che riprese le pratiche avviate agli inizi degli anni Quaranta da padre Agostino da Lugano e dal vescovo di Gurk, Joseph Maria Thun. L'intransigenza del papa però, che insisteva nell'istituire un vicariato apostolico per la parte austriaca della diocesi, suscitò le rimostranze di Venezia, che subito inviò a Roma Marco Foscari quale ambasciatore straordinario, tentando di evitare un aperto confronto con la corte di Vienna e cercando come interlocutore il solo pontefice. Costui, nella ferma intenzione di nominare un vicario apostolico, pubblicò un breve il primo dicembre 1749, nel quale però non vennero specificate chiaramente né la designazione del vicario né le sue funzioni. Venezia allora tentò di dissuadere il papa dalla pubblicazione di un nuovo breve, inviando a Roma il cardinale Angelo Maria Querini, ma tale ambasciata non fece altro che esacerbare le relazioni con la Santa Sede. Nel maggio del 1750 il pontefice decise di insediare una congregazione di dieci cardinali, perché suggerissero le modalità da seguire nell'emanazione del nuovo breve in programma, relativo al vicariato apostolico. Il testo del documento venne riveduto recependo in parte le osservazioni della diplomazia veneziana e sentendo il parere del ministero austriaco. Il secondo breve, comunicato alla Repubblica il 27 giugno 1750, prevedeva la nomina del vicario apostolico con l'immediato esercizio delle sue funzioni. Per tale carica venne scelto il canonico di Basileia, Carlo Michele d'Attems della nobiltà goriziana: le rimostranze di Venezia e di Udine non si fecero attendere. Il cardinale Querini da Roma e il patriarca Dolfin da Udine si posero in aperta polemica con tale decisione e il patriarca decise di traslare il Capitolo metropolitano da Aquileia a Udine, mettendo in dubbio la leggitimità degli atti compiuti dall'Attems. In questo clima di tensione, si profilarono chiaramente i rispettivi ruoli di potere: Venezia apparve sempre più isolata, il pontefice si dimostrò fermo nel suo progetto e l'Austria manifestò presto la sua predominanza. A dare una svolta diplomatica fu significativa la mediazione della Francia, che tra il novembre del 1750 e il gennaio dell'anno successivo, parallelamente alla diplomazia attuata da Andrea Tron, ambasciatore veneto a Vienna, presentò una soluzione che riconsiderava la creazione di due arcivescovadi e la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Venezia e la Santa Sede. La Serenissima rispose immediatamente, inviando un proprio ambasciatore a Roma già a fine gennaio, richiamò il cardinale Querini, abbandonando l'idea di translare la sede patriarcale e accogliendo la decisione di Benedetto XIV, che a sua volta assicurò a Venezia di estinguere ogni pretesa austriaca sul Friuli. Il 6 luglio 1751, l'emanazione della bolla Iniucta nobis sancì la soppressione del patriarcato, «interamente et in perpetuo», mantenendo all'ultimo patriarca il titolo per il resto della sua vita. Al posto della soppressa diocesi e provincia ecclesiastica di Aquileia, vennero istituiti due arcivescovadi: uno per i territori soggetti alla repubblica di Venezia e con sede nella città di Udine, l'altro per i territori posti nella parte asburgica, la cui residenza sarebbe stata fissata a Gorizia. Il diritto di giuspatronato e anche il diritto di presentazione presso la Santa Sede di un candidato al seggio arcivescovile vennero riconosciuti al principe per ciascuna delle due arcidiocesi. Nelle terre imperiali, l'effettiva istituzione dell'arcivescovado venne decretata il 18 aprile 1752: Carlo Michele d'Attems divenne il primo arcivescovo di Gorizia. L'arcivescovado di Udine venne invece istituito con un breve del 19 gennaio 1753, che ne stabilì i poteri e le funzioni da esercitare sul territorio assegnato; il titolo di patriarca fu mantenuto da Daniele Dolfin fino al 1762, anno della sua morte, quando venne eletto arcivescovo Bartolomeo Gradenigo (1762-1765). I canonici di Aquileia che erano sudditi di Venezia e quelli della colleggiata di Udine formarono insieme il nuovo Capitolo cattedrale, composto dalle dignità del proposito, del decano, del primicerio e da ventiquattro canonici; tale disposizione mise a tacere anche le contese di precedenza che erano sorte con l'antico Capitolo di Cividale e rinfocolate nel sinodo diocesano del 1740. È stato osservato dagli storici che le due nuove istituzioni favorirono sia l'individuazione più chiara dei titoli di sovranità esercitati dalla Repubblica di Venezia sulla Patria del Friuli, sia la cessazione delle controversie scaturite dal patto veneto-patriarcale del 1445 e che non avevano mai trovato una soluzione. Inoltre, terza importante conseguenza sul piano politico, l'esame delle questioni inerenti all'individuazione della linea di frontiera venne affrontato nuovamente tra il 1750 e il 1756 da una commissione veneto-austriaca, prima riunitasi a Cormons e poi a Gorizia, che diede disposizioni ufficiali per una congiunta ricognizione del confine orientale, avvenuta effettivamente tra il 1757 e il 1758.


Della stessa tematica