OZAK – Zona di operazione Litorale Adriatico / Adriatisches Küstenland

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di Tristano Matta
L’occupazione tedesca dell’area nord-orientale del Regno d’Italia dopo l’8 settembre 1943 ebbe caratteristiche ben differenti da quelle che segnarono l’occupazione del resto del paese. Mentre per l’Italia venne stabilito il regime di “territorio occupato” sottoposto all’autorità militare germanica, che affiancava e controllava il nuovo governo alleato del fascismo repubblicano risorto dopo la liberazione di Mussolini, per l’area alpina orientale ed alto adriatica, i nazisti scelsero il modello della “zona d’operazioni”, di un territorio cioè non solo occupato militarmente, ma anche direttamente sottoposto all’autorità civile ed amministrativa germanica, incarnata nelle figure dei “Supremi Commissari”, con funzioni che non erano limitate al sostegno all’azione delle autorità militari, ma andavano a costituire veri e propri organi periferici di controllo e di potere del Reich. In tal modo l’intero arco alpino che dall’Alto Adige alla provincia di Lubiana (annessa all’Italia dopo l’occupazione della Jugoslavia del 1941) costituiva la frontiera tra Italia e Terzo Reich venne sottratto all’autorità della Repubblica Sociale Italiana e diviso in due territori sottoposti al diretto governo tedesco: la Operationszone Alpenvorland (OZAV), comprendente le provincie di Bolzano, Trento e Belluno, e la Operationszone Adriatisches Küstenland (OZAK) estesa all’intera Venezia Giulia, al Friuli, alla provincia di Fiume e alla provincia di Lubiana.

Che tale opzione rispondesse non solo a esigenze di controllo militare dell’area, ma anche e soprattutto a un disegno politico che prevedeva una futura integrazione di tali aree, secondo modalità da definirsi, nell’orbita del Reich, è attestato dalla scelta di affidare il ruolo di Commissario supremo, cioè della massima carica responsabile del governo delle due zone, ai Gauleiter delle regioni confinanti del Reich, rispettivamente Franz Hofer che da Innsbruck governava il Gau del Tirolo e Friedrich Rainer, che da Klagenfurt governava quello della Carinzia. Entrambi sottoposti, per quanto riguardava gli indirizzi della loro attività, agli ordini diretti del Führer, i due commissari divennero i supremi responsabili di tutta l’organizzazione politica ed amministrativa locale, nonché di quella giudiziaria, sottraendo in tal modo allo Stato italiano l’esercizio della sovranità sul territorio delle due zone d’operazioni. Una vera e propria separazione istituzionale e territoriale che costituì un forte vulnus non solo sul piano del prestigio per il nuovo stato costituito da Mussolini nel resto dell’Italia occupata e che era assimilabile, come modello, alle occupazioni di altre regioni europee (Alsazia, Lorena, Lussemburgo) destinate a una futura annessione al Reich nel quadro del Nuovo ordine europeo nazista.
Non appare dubbio il fatto, in ogni caso, che le decisioni assunte dalle gerarchie naziste in merito alle modalità di occupazione di queste parti d’Italia rispondessero esclusivamente agli interessi tedeschi di ordine sia militare che politico e vadano pertanto esaminate nell’ottica delle prospettive generali della politica tedesca in questa parte d’Europa, senza che gli interessi dei regimi alleati locali vi giocassero alcun ruolo di rilievo. Ne è indicazione evidente il fatto che a grandi linee il progetto fosse pronto già prima della liberazione di Mussolini al Gran Sasso e della costituzione del nuovo fascismo repubblicano e ne è una conferma indiretta anche l’atteggiamento di rigido rifiuto tenuto da parte germanica alle pretese di Pavelic´ circa l’assegnazione dei territori dell’Istria e del Fiumano allo stato collaborazionista croato (NDH).

Sul peso rilevante degli interessi militari è difficile esprimere riserve: entrambe le Zone erano collocate a ridosso dei confini del Reich ed il loro controllo appariva essenziale alla difesa di questi ultimi. Né va trascurato il fatto che il Litorale adriatico, in particolare rivestiva un’importanza decisiva anche per le vie di transito verso il fronte balcanico. Lo stesso Rainer aveva già in precedenza segnalato, all’indomani della caduta di Mussolini, l’esigenza di un’immediata occupazione tedesca della Val Canale e del Litorale già austriaco per creare una solida linea difensiva contro eventuali sbarchi alleati nell’area dell’Adriatico e per contrastare l’azione della resistenza slovena e croata, la cui pressione si stava facendo sempre più forte lungo il confine carinziano e nell’area. E sull’evidenza di tali motivazioni specificamente militari fecero leva nei mesi successivi alla costituzione del Litorale adriatico le stesse autorità tedesche nel ribattere ai rilievi di parte italiana circa l’indirizzo velatamente annessionistico che il modello di occupazione attuato in questa parte nord-orientale d’Italia sottintendeva, tentando in sostanza di far apparire agli occhi degli italiani la presenza tedesca come una sorta di occupazione amichevole, necessaria per tutelare il territorio dal pericolo slavo-partigiano-bolscevico.

Non di soli interessi militari si trattava, tuttavia. “La riconquista del Südtirol rispondeva a un’aspirazione mai sopita del nazionalismo tedesco, mentre al Litorale sarebbe spettata la tradizionale funzione di penetrazione commerciale nel Levante secondo un disegno mitteleuropeo già elaborato da Ludwig von Bruck verso la metà del XIX secolo”(M. Cattaruzza). Accanto ai problemi posti dall’andamento del conflitto, ebbero dunque un peso rilevante anche aspirazioni politiche di lungo periodo, coltivate in particolare dalla componente austriaca del nazismo, di cui lo stesso Friedrich Rainer era un esponente di rilievo. Non è un caso, certamente, che l’amministrazione tedesca che si instaurò nel Litorale fosse formata da un significativo numero di funzionari provenienti dalla Carinzia e dall’amministrazione austriaca, quasi a costituire sostanzialmente un prolungamento della componente austriaca del grande Reich germanico.

Che la costituzione dell’OZAK potesse prefigurare, quanto meno nelle mire di Rainer e del suo entourage, in prospettiva il recupero all’Austria di un’area geopolitica ritenuta strategica perduta con la sconfitta nella Grande guerra – ciò che tra l’altro avrebbe comportato una sorta di rivincita storica – è indirettamente confermato dal fatto che nella sua azione in qualità di Commissario supremo egli individuò da subito quale obiettivo primario l’isolamento quanto più possibile radicale della città dal contesto italiano – salva la necessità di tenere conto degli ovvi legami soprattutto economici e burocratici. Fanno parte di tale strategia la presentazione sulla stampa di una valutazione assolutamente negativa della gestione della Venezia Giulia da parte dell’Italia e del fascismo, tanto a livello economico che politico con particolare riguardo alla questione nazionale; il continuo richiamo ai legami storici ed economici dell’area con l’Impero austro-ungarico; il rifiuto di collaborare con il locale fascismo repubblicano; le limitazioni al soggiorno all’interno della zona di italiani provenienti dal Regno; il divieto alla RSI di reclutare milizie sul territorio; la subordinazione dei pochi reparti della RSI comunque operanti nell’OZAK ai comandi della polizia tedesca. Soprattutto, la continua sottolineatura della decadenza del ruolo di Trieste italiana come città portuale, oggetto di frequenti sottolineature sul locale quotidiano nazista «Deutsche Adria Zeitung», cui si contrapponeva la prospettiva di una sua possibile ripresa nel quadro di un rapporto con un retroterra diverso, come quello mitteleuropeo, nell’ambito del Nuovo ordine europeo, si proponeva lo scopo di attirare i ceti medi mercantili e gli ambienti imprenditoriali triestini nell’orbita di una collaborazione con le nuove autorità tedesche, ora sostituitesi alle vecchie autorità asburgiche, delle quali si alimentava peraltro il nostalgico ricordo anche attraverso un’attenta propaganda in ambito culturale. Un progetto che, per quanto reso di lì a breve di fatto anacronistico dall’andamento negativo del conflitto, servì comunque a convogliare intorno a Rainer la collaborazione di alcuni esponenti degli ambienti confindustriali e della borghesia mercantile e delle professioni, attratti anche dalla tutela che per essi le autorità tedesche rappresentavano di fronte al pericolo incombente della resistenza jugoslava e delle sue rivendicazioni sempre più esplicite. È significativo il dato che fu tra gli esponenti di questi ambienti che Rainer poté individuare e nominare il nuovo podestà ed il nuovo prefetto della città di Trieste.

Realistiche o meno che fossero le aspirazioni di un possibile recupero dell’area del Litorale adriatico allo spazio geopolitico mitteleuropeo nel quadro del Nuovo ordine europeo nazista, esse dovevano comunque fare i conti nell’immediato con una ben più cogente realtà: quella della guerra. Già nei due anni precedenti l’occupazione tedesca un’area significativa di quello che i nazisti avrebbero denominato Litorale adriatico, e precisamente quella coincidente con le regioni del precedente Regno di Jugoslavia poste al di là del confine di Rapallo ed annesse all’Italia dopo l’occupazione della stessa Jugoslavia nell’aprile del 1941, era divenuta teatro della guerra di aggressione nazifascista prima e, poi, soprattutto della lotta partigiana slovena e croata che fin dall’estate del 1941 aveva iniziato a operare e nei mesi successivi si era dimostrata in grado di impedire alle forze di occupazione italiane il controllo del territorio. Nella porzione di Slovenia occupata, in particolare, la resistenza era andata trasformandosi in un movimento di massa che aveva dato vita al Fronte di Liberazione (OF) comprendente comunisti, cristiano-sociali e liberali, in grado nella primavera del 1942 con le sue formazioni armate e la sua organizzazione territoriale di controllare oltre la metà dei comuni facenti parte della nuova provincia. Anche nella fascia territoriale croata occupata a oriente di Fiume, pur con maggiori difficoltà e minore rapidità, prese corpo un’attività resistenziale promossa soprattutto da attivisti comunisti. Dopo l’8 settembre il disfacimento dell’esercito italiano d’occupazione ebbe l'effetto di sviluppare le capacità militari e politiche del movimento di liberazione jugoslavo, ormai sotto il controllo dei comunisti, entrato in possesso di armi e materiali abbandonati dagli italiani.

Si può comprendere come l’occupazione dell’area sulla quale si insediò l’OZAK ponesse per i tedeschi il problema di un controllo del territorio ben più difficile da risolvere di quanto non avvenisse nel resto d’Italia. La consapevolezza di ciò decise le autorità naziste a sostenere il generale Kübler, comandante in capo della Wehrmacht nell'OZAK, con la creazione di un potente apparato di polizia affidato all'SS-Gruppenführer Odilo Globočnik, la cui sanguinaria politica repressiva costituì l'aspetto più specifico della presenza nazista nell'area.

 

Bibliografia essenziale

Stuhlpfarrer K., Le zone d'operazioni Prealpi e Litorale Adriatico, Adamo, Gorizia 1975

Collotti E., Il Litorale Adriatico nel Nuovo Ordine Europeo (1943-1945), Vangelista, Milano 1974

Liuzzi G., Il Litorale Adriatico: storia di un'occupazione nazista, in “Quaderni giuliani di storia”, 2009/1

Pucher S. et al., Il nazista di Trieste. Vita e crimini di Odilo Globočnik, Beit, Trieste 2011

Di Giusto S., Operationszone Adriatisches Küstenland, IFSML, Udine 2005

 


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