Il movimento popolare di liberazione in Istria e nel Quarnero

Novecento



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di Orietta Moscarda

Con l’invasione della Jugoslavia nel giugno 1941, nei territori croati/sloveni si sviluppò un movimento di resistenza promosso soprattutto dal Partito comunista jugoslavo (Pcj). Ben presto, per quanto riguarda l’Istria, i suoi attivisti croati verranno inviati nel territorio a diffondere le idee del movimento partigiano di Tito.

Il movimento si configurò ben presto come una forza rilevante sul piano dell’organizzazione interna e dell’impatto sociale, caratteristiche che gli consentirono di guadagnare un vasto consenso fra ampi strati soprattutto di popolazione contadina. I comunisti infatti presentavano un programma di liberazione dagli occupanti e di unione di tutti i popoli jugoslavi, ma essendo fedeli seguaci della Terza internazionale, consideravano la guerra come una rivoluzione che avrebbe cambiato radicalmente l'ordine istituzionale e i modi della convivenza sociale jugoslava, con la costruzione di uno stato comunista. Nonostante al suo interno il movimento contasse aderenti provenienti da ambienti sociali e politici molto vari, la guida era saldamente in mano al Partito comunista jugoslavo. In Istria e a Fiume questa lotta aveva anche chiare mire annessionistiche di quelli che venivano considerati territori etnici croati e sloveni, ingiustamente strappati dall’Italia dopo prima guerra mondiale col trattato di Rapallo. Infatti, i proclami di annessione dell’Istria alla Croazia e del Litorale sloveno alla Slovenia del settembre 1943 rappresentarono degli elementi inediti rispetto agli altri territori in cui si sviluppò il movimento. Secondo gli appartenenti al Movimento popolare di liberazione (Mpl) jugoslavo, tali deliberazioni annessionistiche erano legittimate dal fatto che c’era stata una massiccia partecipazione della popolazione croata e slovena a quella che fu considerata un’”insurrezione” antifascista dopo l’8 settembre 1943. Le rivendicazioni annessionistiche nei confronti del territorio istriano e fiumano non erano nuove, ma datavano dalla fine della Grande guerra e, da parte sua, anche lo Stato indipendente di Croazia dichiarò l’annessione dell’Istria dopo la capitolazione italiana. Ad ogni modo, gli atti di annessione, confermati dai massimi organismi del Mpl croato e sloveno e in seguito da quello jugoslavo, esprimevano un chiaro progetto politico che avrebbe relegato gli italiani dell’Istria e di Fiume a uno status di “minoranza”, con diritti esclusivamente culturali.   

In Istria e a Fiume i motivi del riscatto nazionale si fusero con quelli di liberazione dall’occupante e con i motivi di carattere sociale, come la distribuzione della terra ai contadini e l’espropriazione dei latifondi. La lotta di liberazione trovò perciò consenso fra ampi strati di popolazione croata nelle campagne e nei villaggi, dove la stragrande maggioranza era rappresentata da contadini, ma anche nei preti dei villaggi e nei narodnjaci, seguaci di quello che era stato il movimento nazionale croato e quindi i custodi di un forte sentimento patriottico jugoslavo.

Nelle zone “liberate” dal movimento furono creati i Comitati popolari di liberazione, che dopo la guerra sarebbero diventati i centri politici e civili del nuovo potere jugoslavo, che fu definito “potere popolare”. Il congiungimento dell’Istria, di Fiume e di quasi l’intera Venezia Giulia fu comunque l’obiettivo maggiormente perseguito dal movimento.  

Già verso il 1942 un piccolo gruppo armato aveva iniziato ad operare nella zona attorno a Fiume verso il Litorale sloveno, mentre in Istria la situazione era ancora calma. La collaborazione tra la popolazione slava e il movimento rafforzò la resistenza sul versante politico organizzativo e su quello militare. Infatti, con l’amplificarsi delle violenze del regime fascista sulla popolazione istriana nel 1942-1943, e potendo contare su una rete di cellule del nuovo potere rivoluzionario, il movimento partigiano si era irrobustito fino a raggiungere dimensioni molto vaste. La rete dei comitati popolari di liberazione si estese in tutte le zone dell’Istria (Carso, Pinguente, Pisino, Gimino, Parenzo, Rovigno, Albona, Pola), per sviluppare rapporti anche con le cellule di Fiume e di Trieste. Le zone in cui il movimento partigiano era ben sviluppato erano i dintorni di Pola e le località di Barbana, Sanvincenti, Canfanaro e Dignano, come pure i villaggi della Ciceria.

Sul modello di quanto avvenuto nei territori jugoslavi, tutto ciò che aveva connessioni con il regime precedente, quello fascista, fu azzerato. Si manifestò una serie di violenze programmate e gestite dall’alto nei centri dell’Istria interna, nelle campagne ma anche nelle cittadine. Tutto ciò che aveva avuto a che fare con il fascismo e le sue istituzioni, come pure i simboli del potere italiano, furono eliminati per creare un nuovo ordine. Motivazioni rivoluzionarie unite a quelle di liberazione nazionale, a rancori e vendette personali, trovarono espressione spiegazioni nelle violenze delle foibe del settembre-ottobre 1943. 

La direzione del partito comunista croato sul suolo istriano fu formata soltanto dopo l’occupazione tedesca della penisola, verso la fine del 1943, anche se già dalla primavera vi operava un comitato provvisorio. I suoi dirigenti furono inizialmente alcuni emigrati politici rientrati in regione, così come singoli attivisti originari del Litorale croato, che potevano far leva su poco meno di un centinaio di membri. Fu in seguito che su direttiva della massima dirigenza del Mpl, molti comunisti di origine dalmatina, montenegrina, bosniaca e in particolar modo del Litorale croato, man mano che rientravano dai campi di prigionia in Italia, furono dislocati nelle diverse aree istriane, andando così a comporre i nuovi quadri “rivoluzionari” e le strutture del servizio informativo e organizzativo del Mpl.

Il periodo che va dal 1943-1944 vide l’irrobustimento del movimento partigiano sul piano militare e politico, in seguito al disarmo delle truppe italiane e al riconoscimento da parte degli alleati che rifornirono di armi, munizioni e viveri i partigiani. Nel corso del 1944 moltissimi giovani istriani e fiumani di origine croata e italiana scelsero di entrare nelle file partigiane, anche per sfuggire all’arruolamento nell’esercito tedesco e al lavoro obbligatorio della Todt. Raggiunsero i partigiani anche numerosi appartenenti alle forze armate della RSI dislocate nella regione istriana.  Così, tra il 1944 e il 1945 il movimento popolare di liberazione si trovò a disporre di un esercito, di un territorio e di un organismo rappresentativo del potere delle forze partigiane, ovvero di un governo provvisorio (Consiglio antifascista di liberazione popolare di Jugoslavia - Antifašističko Vijeće Narodnog Oslobođenja Jugoslavije – Avnoj). Con il consistente afflusso di molto antifascisti italiani e croati nelle file partigiane, le unità militari istriane si ristrutturarono; ci fu la formazione del battaglione italiano, “Pino Budicin”, che fu incluso nella Brigata istriana “Vladimir Gortan”, mentre con altre brigate venne costituita la 43ima Divisione istriana dell’esercito partigiano.

 

Bibliografia essenziale

Drndić Ljubo, Le armi e la libertà dell’Istria, Edit, Fiume, 1981.

Gaetano La Perna Gaetano, Pola - Istria - Fiume, 1943-1945, Mursia, 1993.

Diminić Dušan, Sjećanja, Život za ideje, Labin - Pula - Rijeka, 2005.

Pupo Raoul, Il lungo esodo, Rizzoli, Milano, 2005.

 


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