Le zone libere partigiane della Carnia e del Friuli

Novecento



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di Giorgio Conetti

L’estate del 1944 è caratterizzata da esperienze di grande rilievo politico, i cui effetti non si limitano al periodo bellico. È il periodo in cui si costituiscono le zone libere partigiane, in Carnia e Alto Friuli e nell’area a oriente di Udine. Diverse per caratteristiche, organizzazione, intenti, entrambe segnano un momento alto e ricco di significato per la Resistenza friulana.

Dalla primavera del 1944 le azioni partigiane si intensificavano, prendendo di mira caserme e presidi nemici, coinvolgendo aree sempre più ampie, mettendo in difficoltà la capacità tedesca di mantenere il controllo di tutto il territorio. La risposta era la rappresaglia, estremamente dura, concentrata su alcuni obiettivi per terrorizzare la popolazione: venivano incendiati Forni di Sopra e Esemon in maggio; di seguito le rappresaglie toccarono altre località, fino al 21 e 22 luglio, quando 52 persone furono uccise durante un’operazione punitiva partita dal territorio austriaco per percorrere la valle del But fino a Tolmezzo.

Durante l’estate la Carnia era una zona infida per tedeschi e fascisti: le vie di comunicazione erano presidiate, i paesi interdetti, gli arruolamenti, i conferimenti di prodotti e bestiame impediti; in alcuni casi parte di ciò che era stato sottratto agli ammassi veniva suddiviso tra i più poveri. La popolazione vedeva nei partigiani chi li difendeva dai tedeschi, li considerava parte della comunità, condivideva con loro la quotidianità della vita in guerra, ad esempio partecipando numerosa ai funerali di caduti.

Nonostante le rappresaglie, a fine luglio, dopo la caduta del presidio di Sauris, la Carnia, ad esclusione di Tolmezzo capoluogo, era libera dal controllo tedesco e fascista. Sollecitati anche dalle indicazioni provenienti dal Comitato di Liberazione Alta Italia, partigiani e antifascisti delle diverse località scelsero di consolidare e gestire questa situazione. Venivano dapprima costituiti i CLN locali, con il criterio della rappresentanza paritetica dei cinque partiti antifascisti, successivamente, sulla base di questi, si formarono i CLN di vallata e infine, l’11 agosto, il CLN Carnico. L’area interessata comprendeval’intera Carnia, escluso il capoluogo, e si ampliava verso Sappada e il Cadore da un lato e verso la Val Tramontina, d’Arzino e del Cellina e Meduna dall’altro, coinvolgendo una superficie di 2600 chilometri quadrati, con 38 comuni completamente liberati, 7 parzialmente liberati, abitati da circa 90.000 persone. Dal CLN Carnico venne l’impulso di dare vita a nuovi poteri legittimati dalla partecipazione popolare, che fungessero da regolatore democratico della vita locale e da supporto e sostegno alle formazioni partigiane. Su questa base si costituirono le Giunte comunali elettive, dove elettori erano i capifamiglia, secondo il modello adottato per le latterie sociali e per gli usi civici, ammettendo però anche le donne, qualora non vi fossero maschi in famiglia. A loro spettava amministrare, gestire i beni pubblici, organizzare il servizio di alimentazione, costituire la “Guardia del Popolo”, una sorta di polizia locale, dare supporto alle formazioni partigiane. Nel periodo di formazione della Zona Libera si trovarono in Carnia alcuni dei principali esponenti della resistenza friulana che assieme ai CLN locali e ai comandanti partigiani maturarono la decisione di dare un carattere più solidamente istituzionale all’esperienza in atto, costituendo un Governo della Zona, diretto da una Giunta composta da rappresentanti dei partiti antifascisti; con voto consultivo vi prendevano parte anche organizzazioni quali Fronte della Gioventù e Gruppi di Difesa della Donna, Comitati contadini e operai, e la stessa rappresentanza delle formazioni partigiane.

Si trattava quindi di un organismo politico amministrativo, non militare, e su tale base si mossero le sue iniziative, decidendo e deliberando con specifici decreti su varie questioni: istruzione, polizia e giustizia, finanze e fiscalità, beni forestali, approvvigionamenti, con strutture dedicate. In previsione della riapertura delle scuole venne avviata un’opera di epurazione dei libri di testo fascisti; si costituì un tribunale del popolo per i reati comuni, per i quali venne abolita la pena di morte; si procedette all’abolizione di tutte le imposte e tasse esistenti, prevedendo una unica tassa progressiva sul patrimonio, sulla base di accertamenti da parte delle giunte comunali; ci si propose di tutelare il patrimonio boschivo, oggetto di indiscriminato saccheggio sin dall’inizio della guerra, proibendo il taglio di alberi, se non per legna da ardere.  

Su questo si innestò il problema più grave che la Giunta dovette affrontare, quello di garantire gli approvvigionamenti alimentari alla popolazione. La Carnia, con la sua agricoltura di sussistenza e l’allevamento pesantemente ridotto dalle requisizioni durante tutto il periodo bellico, non era in grado di garantirsi la sopravvivenza alimentare. Su questo sì inserì un’ipotesi di scambio con i tedeschi di legname in cambio di farina. La popolazione e alcune personalità dell’”Osoppo” erano disponibili, ma da parte della “Garibaldi” si oppose un netto rifiuto. In alternativa venne scelta un’altra via, impegnativa e spesso drammatica: venne organizzato un sistema di trasporto di grano e farina dalla pianura alla montagna, affidato alle donne che a piedi avrebbero attraversato le Prealpi, accolte poi in pianura dagli uomini dell’Intendenza partigiana “Montes” e accompagnate a prelevare i generi che poi avrebbero riportato in Carnia per la stessa via. Nonostante l’impegno non riuscì a risolvere il problema.

La popolazione era coinvolta in varie forme di sostegno ai partigiani, con il confezionamento di abiti, la preparazione di materiali e strumenti, l’assistenza ai feriti. Dall’altra parte si cercava di venire in aiuto ai più bisognosi, di fermare la borsa nera, di garantire la sicurezza interna, per mezzo della “Guardia del Popolo”, che controllava anche i movimenti in entrata e uscita dalla zona, nel timore dell’ingresso di spie.

Quasi contemporaneamente, in un’altra parte del Friuli, si andava formando quella che è ricordata come la “Zona Libera del Friuli Orientale”: è l’area in cui nel settembre 1943 si costituirono le prime, piccole, formazioni partigiane friulane, garibaldine e di Giustizia e Libertà, il territorio in cui a inizio estate 1944 si insediarono sia la “Brigata Garibaldi Natisone” sia le formazioni che avrebbero costituito poi la prima Brigata “Osoppo”. Sono le vallate retrostanti i centri di Faedis, Nimis e Attimis, poco distanti da Udine e da altre località importanti, nonché da vie di comunicazione strategiche, quali la ferrovia e la strada “Pontebbana”, la strada tra Udine e Cividale e tra Udine e Gorizia. È anche l’area contigua ai territori in cui operavano le forze partigiane slovene, oggetto delle rivendicazioni territoriali delle stesse, non in grado però in quella fase di imporle. Una vicinanza che si faceva comunque sentire e dii cui non si poteva non tenere conto. I garibaldini cercavano l’accordo e l’eventuale collaborazione, gli osovani in genere ne diffidavano e si ponevano a tutela dell’integrità territoriale italiana.

L’estate partigiana del 1944 ebbe effetto anche in quest’area: le azioni di tutte le formazioni (sabotaggi, attacchi a reparti e insediamenti nemici, blocco di ammassi e requisizioni di prodotti agricoli) portarono progressivamente a un controllo quasi totale di una vasta area, che fin dai primi di luglio iniziò a organizzarsi come zona libera. Interessava un’area che andava dalla pianura tra Tarcento e Cividale alle Prealpi Giulie retrostanti, entro un perimetro di circa 66 chilometri e un territorio di circa 300 chilometri quadrati, comprendente sei comuni (Faedis, Attimis, Nimis, Lusevera, Taipana e Torreano di Cividale), abitati da circa ventimila persone. La sua estensione definitiva si consolidò dopo una serie di scontri aperti attorno a Nimis, protrattisi per una decina di giorni e conclusisi il 31 agosto con la liberazione del paese. La popolazione accolse con grandi festeggiamenti l’entrata dei partigiani, vista come la fine di un incubo dopo l’arrivo nella zona dei cosacchi, autori di violenze e soprusi. E proprio durante le operazioni attorno a Nimis i nazisti compirono uno dei più odiosi eccidi di civili, uccidendo nella piccola frazione di Torlano 33 persone, tra cui 9 bambini, molti bruciati vivi in una stalla.

Il controllo si estendeva in pianura fino a Povoletto, sotto controllo dopo duri scontri il 5 settembre.

La condizione determinante che permise la costituzione della zona fu l’unificazione delle formazioni garibaldine e osovane: una determinazione che aveva motivazioni di efficienza militare ma che rappresentava anche una scelta politica, stante la profonda diversità proprio di impostazione politica delle due formazioni. Grazie alla presenza ai vertici delle due formazioni di personalità disponibili a un accordo che in precedenza in altre occasioni era sembrato impossibile, e grazie anche alle sollecitazioni della missione inglese lì dislocata, si giunse a fine luglio a un coordinamento operativo e infine, a metà settembre all’unificazione nella Divisione “Garibaldi Osoppo”.

A differenza della Carnia, la Zona libera del Friuli orientale ebbe una caratterizzazione preminentemente militare, finalizzata al controllo del territorio, all’insediamento, all’organizzazione, all’addestramento dei reparti partigiani. Doveva fungere da base operativa per agire sugli importanti obiettivi posti ai margini della zona e per disturbare con sabotaggi e attacchi le forze nemiche. Conseguentemente anche la gestione del territorio era affidata alle formazioni: vi si stabilirono sedi di comandi, depositi e magazzini, aree per ricevere i lanci di rifornimenti paracadutati, un ospedaletto da campo, opere di difesa e sbarramento sulle vie di accesso.

Gli antifascisti locali vennero valorizzati dalla presenza partigiane, che stimolava forme di rappresentatività. Venne sollecitata la costituzione di CLN locali (a Nimis già era attivo in precedenza), cui veniva affidata la gestione della vita locale. A Nimis il 20 settembre vennero convocati i capifamiglia del capoluogo e delle frazioni per eleggere sindaco e giunta. Ad Attimis partigiani e CLN convocarono i capifamiglia per scegliere il sindaco. Altrove non si andò oltre l’attività dei CLN e la partecipazione popolare era sensibilmente minore rispetto ai centri maggiori

La zona era economicamente ben diversa dalla Carnia. La pianura e la collina erano relativamente floride, con un’agricoltura produttiva, ben organizzata e specializzata, in cui la piccola e media proprietà contadina conviveva con le aziende agricole possedute da nobiltà e media borghesia cittadina. Poteva fornire risorse sufficienti a nutrire sia la popolazione sia i partigiani. Piccole attività industriali nel settore tessile, dell’edilizia e dell’alimentare trovavano posto ai margini della zona. La parte interna, montana, era invece povera e in certe aree emarginata. Qui i partigiani incontravano più diffidenza ma anche l’appoggio dei più giovani che aspiravano a un futuro migliore. In generale l’allontanamento di tedeschi, fascisti e soprattutto cosacchi aveva accresciuto la fiducia nei partigiani, che così avevano interrotto il clima di oppressione e di paura, gli arresti, le razzie, le requisizioni forzate, gli arresti.

Questo fino al grande rastrellamento che portò alla fine tragica della zona. Dopo il clima cambiò.

A fine settembre iniziava l’operazione “Klagenfurt”, l’attacco tedesco alla Zona libera, su tre direzioni: verso Nimis, verso Faedis e dalla zona di Caporetto. Il primo attacco fu portato su questo lato, il più debole, la notte tra il 25 2 il 26. Successivamente gli attacchi vennero dalla pianura verso i centri principali. I partigiani si aspettavano un attacco, ma non così massiccio: si organizzarono in una resistenza elastica, tenendo testa al nemico fino alla notte tra il 28 e il 29, quando, pressati ormai da tre lati, decisero di defilarsi in piccoli gruppi verso le valli del Natisone, tra molte difficoltà, incertezze nei percorsi da seguire, continui attacchi nemici e molti furono uccisi, feriti, catturati. Poco tempo dopo il Comando unico della Divisione si sciolse e garibaldini e osovani avrebbero preso strade diverse e a breve conflittuali.

Un prezzo altissimo fu pagato anche dalle popolazioni civili: saccheggi, incendi, arresti e deportazioni. Attimis, Nimis e Faedis vennero date alle fiamme e così altre località minori; il fumo e le fiamme si vedevano da lontano, monito alla popolazione e ai partigiani se avessero ancora osato. La popolazione terrorizzata si rifugiava nei paesi vicini, mentre continui erano gli arresti e le conseguenti deportazioni: oltre 100 i deportati, di cui oltre 80 non fecero ritorno. I cosacchi insediatisi nel territorio contribuirono a mantenere a lungo un clima di terrore e paura.

Subito dopo tocca alla Carnia: l’operazione “Waldlaüfer” interessava l’intera area montana orientale e per la zona carnica si articolò in più ondate a partire dai primi di ottobre: dal 2 all’8 da sud verso la Val d’Arzino, dall’8 al 13 da Tomezzo, dal Cadore e dall’Austria, mirando al centro nevralgico della Zona. Tra la popolazione il timore cresceva, la fiducia riposta nei partigiani cominciava a cedere, in molti casi si insisteva perché questi si allontanassero; una lettera dell’Arcivescovo al prof. Michele Gortani e ai parroci, in cui si invitava a accettare le condizioni offerte dai tedeschi, la resa in cambio di clemenza, per evitare le distruzioni e sofferenze già viste a Nimis e paesi vicini, indusse parte della popolazione e rivolgere pressanti richieste in tal senso ai partigiani che però, unanimemente, rifiutarono.

Il 20 ottobre la Carnia era ormai completamente rioccupata dai tedeschi che vi insediarono numerosi presidi cosacchi, come in precedenza avevano nei paesi di Avasinis e Alesso. Iniziava così per la Carnia un lungo periodo di sofferenze e di violenze: invasa da decine di migliaia di cosacchi, famiglie comprese, che sfruttavano le magre risorse e opprimevano la popolazione con razzie, saccheggi, violenze.

Oltre le distruzioni, i lutti e le sofferenze è rimasta, anche nella memoria, l’esperienza di una ricerca di riscatto e di sperimentazione dii nuove forme di libertà, di democrazia e anche di autonomia.

 

Bibliografia essenziale

Angeli G., Candotti N., Carnia Libera. La repubblica partigiana del Friuli, IFSML, Udine 1971.

La Repubblica partigiana della Carnia e del Friuli, in “Storia contemporanea in Friuli”, a. XIV, 1984, n.15, 1984.

Buvoli A. et al. (a cura di) La Repubblica partigiana della Carnia e dell’Alto Friuli, , Il Mulino, Bologna, 2013.

Buvoli A., Zannini A. (a cura di), Estate autunno 1944. La Zona libera partigiana del Friuli orientale, Il Mulino, Bologna 2016.

 


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