La questione di Trieste

Novecento



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di Raoul Pupo

Per “Questione di Trieste” s’intende la lunga vertenza diplomatica che nel secondo dopoguerra contrappose Italia e Jugoslavia avendo come oggetto la delimitazione del confine comune dopo gli eventi bellici. La formula pone di per sé in luce la differenza con la situazione creatasi dopo il primo conflitto mondiale: allora, l’annessione all’Italia della Venezia Giulia appariva scontata ed i conflitti diplomatici si appuntarono sulla sorte dei margini orientali della regione – la Liburnia – di Fiume e della Dalmazia; viceversa, nella seconda metà degli anni ’40 e sino ai primi anni del successivo decennio ad essere in dubbio fu il destino dei margini occidentali della regione. Ottenuta con il Trattato di pace del 1947 la conservazione della sovranità su Gorizia e Monfalcone, l’Italia dovette attendere il 1954 per riprendere il controllo della sola Trieste – divenuta nel frattempo il simbolo della crisi confinaria – mentre tutta l’Istria, per non parlar di Fiume e Zara rimanevano stabilmente sotto il controllo jugoslavo.

Nello svolgimento della Questione si possono distinguere diverse fasi. La prima coincide con la “Crisi di Trieste” della primavera 1945, risoltasi con l’accordo di Belgrado in base al quale la Venezia Giulia venne divisa in due zone di occupazione, A e B, amministrate da due Governi militari, rispettivamente anglo-americano (Amg/Gma) e jugoslavo (Vuja). Si trattava di una soluzione meramente provvisoria, in attesa delle deliberazioni della Conferenza della pace, ma la situazione internazionale rendeva probabile che il futuro tracciato del confine non si sarebbe discostato molto dal tracciato della linea di demarcazione (linea Morgan) tracciata fra le due zone, perlomeno nell’area più critica, quella vicino a Trieste.

La seconda fase è quella relativa appunto alla Conferenza della pace ed al suo esito, il Trattato di pace entrato in vigore il 15 settembre 1947. Alla Conferenza il governo italiano, allora espressione di tutti i partiti antifascisti, si presentava non privo di speranze: è vero che l’Italia aveva perso la guerra dopo averla combattuta dalla parte dei nazisti, ma era anche vero che aveva cercato di riscattarsi con la Resistenza e la partecipazione alla guerra contro i tedeschi del Corpo italiano di liberazione. Sarebbe bastato affinché all’Italia venisse considerato valido, almeno in parte, il “biglietto di ritorno”? In realtà, assolutamente no. All’Italia non venne consentito di partecipare alla Conferenza di Parigi e da parte dei rappresentanti delle potenze vincitrici essa venne considerata semplicemente come un Paese nemico, sconfitto e da punire. Il governo di Roma non potè in alcun modo influire sulle decisioni e dovette limitarsi a cercare di ingraziarsi almeno quelli delle potenze occidentali, posto che l’Unione Sovietica aveva pubblicamente dichiarato il proprio appoggio alle rivendicazioni jugoslave. Quel che però a Londra e Washington effettivamente interessava era soltanto che Trieste, porto dell’Austria ed affaccio dell’Europa centrale sul Mediterraneo, non cadesse in mani sovietiche. Di conseguenza, in un primo momento accettarono una linea confinaria di mediazione proposta dai francesi, che teoricamente avrebbe lasciato in Italia e Jugoslavia due minoranze nazionale di equivalenti dimensioni, comportando l’assegnazione alla Jugoslavia di quasi tutta la Venezia Giulia, compresa la maggior parte dell’Istria, oltre a Fiume e Zara. In un secondo momento poi, difronte all’indisponibilità di Mosca al mantenimento della sovranità italiana su Trieste, accettarono un’ulteriore mediazione, consistente nella previsione di uno stato cuscinetto, denominato Territorio libero di Trieste (TlT), consistente nel capoluogo giuliano ed una striscia costiera tra il fiume Timavo – limite della provincia di Gorizia, conservata all’Italia nella sua parte meridionale – ed il fiume Quieto in Istria. Si riteneva del resto, nelle due capitali occidentali, che l’inserimento di Trieste in uno stato libero sotto la protezione delle Nazioni Unite l’avrebbe meglio tutelata da eventuali colpi di mano jugoslavi che non la sovranità di un Italia isolata e disarmata, di fronte ad una Jugoslavia armata fino ai denti e chiaramente collocata dalla parte dei vincitori.

Si chiudeva così la seconda fase della Questione, ma l’entrata in vigore del Trattato di pace non coincise con la creazione del TlT, perché il Trattato medesimo si limitava a dichiarare cessata la sovranità italiana e ad indicare le procedure per arrivare alla creazione del Territorio, tramite una serie atti di competenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il primo di tali atti, e cioè l’approvazione di una carta costituzionale chiamata Statuto, venne effettivamente compiuto, mentre invece la procedura s’incagliò sul secondo scoglio, vale a dire la nomina di un Governatore. Dietro ai veti incrociati da parte dei rappresentanti delle grandi potenze stava l’esplodere della guerra fredda. Nel nuovo clima bipolare, a Londra e Washington Trieste venne considerata un “baluardo dell’Occidente” lungo la cortina di ferro. Contemporaneamente, sia inglesi che americani cominciarono a nutrire forti dubbi sull’effettiva vitalità del TlT e, per evitare che esso finisse per cadere in mano comunista, cioè jugoslava, cioè sovietica, decisero di congelare la situazione sul campo, bloccando di fatto la nomina del Governatore. Di conseguenza, il TlT non prese mai vita e l’intera area rimase una res nullius, divisa in due zone, A e B, residuo di quelle create con l’accordo di Belgrado del giugno 1945.

Nel nuovo scenario internazionale mutò anche il ruolo dell’Italia, che per gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia cominciò a venir considerata come un tassello essenziale della strategia del “contenimento” della minaccia sovietica. Per rafforzare la tenuta delle forze filo-occidentali che guidavano il Paese dopo l’estromissione dei comunisti nella primavera del 1947, le diplomazie occidentali decisero di compiere un gesto di grande significato nel corso della campagna elettorale per le prime consultazioni politiche del dopoguerra, previste per il 18 aprile 1948. Pertanto, il 20 marzo del medesimo anno i governi di Parigi, Londra e Washington emisero una Nota tripartita in cui proponevano al governo sovietico di concordare un protocollo aggiuntivo al Trattato di pace che consentisse di riportare il TlT sotto la sovranità italiana. Ovviamente la proposta non venne accolta da Stalin, ma rafforzò notevolmente la posizione diplomatica italiana e probabilmente influì anche sull’esito delle elezioni del 18 aprile, che videro una netta affermazione della Democrazia Cristiana, guidata da Alcide Degasperi.

Subito dopo però, la situazione mutò radicalmente. Fra Tito e Stalin si aprì un gravissimo contrasto che culminò ben presto con l’espulsione della Jugoslavia dal Cominform, l’organizzazione politica dei partiti comunisti europei a guida sovietica. Timoroso di un’invasione da parte della Russia e dei suoi satelliti, il governo di Belgrado cominciò ad avvicinarsi in politica estera all’Occidente, per mantenendo in patria un regime di tipo stalinista. L’allontanamento della Jugoslavia dall’orbita sovietica fu assai apprezzato a Londra e Washington, perché favoriva nettamente la politica del “contenimento” nei Balcani e migliorava anche le prospettive di difesa dell’Italia, che a sua volta si stava per divenire uno dei Paesi fondatori dell’Alleanza atlantica. Oltre ad aiutare la Jugoslavia dal punto di vista economico e militare, Stati Uniti e Gran Bretagna decisero che sulla Questione di Trieste la nuova priorità non era più quella di sostenere a spada tratta gli interessi italiani, bensì di “salvare la faccia a Tito”. Di conseguenza, la Nota tripartita venne messa in frigorifero, anche se mai formalmente ritirata, ed i governi di Roma e Belgrado vennero caldamente invitati ad accordarsi sulla spartizione del TlT.

I negoziati diretti non approdarono però ad alcun risultato e si aprì una fase di stallo destinata a durare fino al 1953. Nella primavera di quell’anno, le nuove elezioni politiche italiane videro una flessione della DC, tanto che Degasperi fu costretto a farsi da parte. Ne seguì un periodo di instabilità politica che ridusse – come sempre in questi casi – la forza negoziale italiana. Il governo jugoslavo ne approfittò per alzare il tiro delle proprie rivendicazioni e quello italiano guidato da Giuseppe Pella, per reagire alla crisi compì due mosse decisive: sul campo, inscenò una dimostrazione militare accompagnata dal progetto – rapidamente abortito – di un colpo di mano in zona A; a livello diplomatico, comunicò agli anglo-americani la rinuncia alle rivendicazioni sulla zona B e la propria disponibilità ad una spartizione del TlT lungo la linea Morgan, purché ciò avvenisse dietro un simulacro di provvisorietà a fini di politica interna.  

Inglesi ed americani si mossero nella medesima direzione e l’8 ottobre 1953 emisero una Nota bipartita con la quale comunicavano la loro intenzione di sciogliere il Gma e di trasferire all’Italia l’amministrazione della zona A. Si attendevano un sostanziale consenso, se pur a malincuore, da parte jugoslava, invece il governo di Belgrado protestò vivacemente, sia perché sia era effettivamente illuso di poter ottenere alcune posizioni chiave in zona A, all’interno della stessa area portuale di Trieste in modo da realizzarvi una sorta di Novi Trst, sia perché l’accettazione sic et simpliciter della Nota avrebbe privato la diplomazia jugoslava della possibilità di negoziare adeguati compensi per l’accettazione del ritorno di Trieste all’amministrazione italiana, ovvia premessa per una ri-estensione della sovranità italiana sulla città simbolo della vertenza.

La procedura quindi si bloccò, mentre il clima si faceva assai teso fra Italia e Jugoslavia – che schierarono consistenti forze militari sul confine dell’Isonzo – ed anche all’interno della città di Trieste, dove ai primi di novembre scoppiarono gravi tumulti che provocarono sei morti fra i dimostranti italiani. Lo stallo venne superato appena agli inizi del 1954, quando inglesi ed americani decisero di cambiare completamente il loro approccio diplomatico e convocarono un negoziato in due fasi: dapprima una trattativa separata con la Jugoslavia e successivamente, una volta raggiunto un accordo con il governo di Belgrado, un nuovo negoziato con l’Italia, che a quel punto non avrebbe avuto molti margini per far sentire la propria opinione. Così avvenne ed una prima tornata negoziale a Londra condusse ad un’intesa a tre sulla spartizione del TlT lungo la linea Morgan con minime correzioni a vantaggio della Jugoslavia, ma in forma provvisoria – cioè con solo subentro di amministrazione e non di sovranità – in modo da consentire ai governi di Roma e Belgrado di non rinunciare formalmente alle loro rivendicazioni, cui le rispettive opinioni pubbliche apparivano assai sensibili. Ciò interessava in particolare il governo italiano, che però non fu del tutto soddisfatto del compromesso. Ne derivò quindi un ennesimo negoziato, che si concluse con la firma il 5 ottobre del Memorandum di Londra, destinato ad entrare il vigore il successivo 26 ottobre. In questo modo l’Italia potè estendere alla zona A la propria amministrazione che poi si consolidò in una sorta di “annessione fredda”, ad esempio attraverso la designazione di Trieste quale capoluogo della regione autonoma Friuli – Venezia Giulia, costituita nel 1963. Lo stesso fecero le autorità jugoslave in zona B.

Quella del Memorandum d’Intesa, accordo “di carattere pratico” e non trattato internazionale, fu una soluzione volutamente ambigua: politicamente definitiva e come tale garantita da Stati Uniti e Gran Bretagna, formalmente provvisoria per consentire che la vertenza di frontiera e le sue asprezze venissero scordate dalle opinioni pubbliche dei due Paesi contermini. Solo a quel punto si sarebbe potuto procedere, di comune accordo, ad una definizione formale della nuova linea di confine. Questo fu quel che sarebbe accaduto con il Trattato di Osimo del 1975.

 

Bibliografia essenziale

De Castro Diego, La questione di Trieste. L'azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, Lint, Trieste 1981

Valdevit Giampaolo, La questione di Trieste 1941-1954, Franco Angeli, Milano 1987

De Leonardis Massimo, La diplomazia atlantica e la soluzione del problema di Trieste (1952-1954), Esi, Napoli 1992

Valdevit Giampaolo, Trieste 1953-1954. L'ultima crisi, Mgs Press, Trieste 1994

Tenca Montini Federico, La Jugoslavia e la questione di Trieste, 1945-1954, Il Mulino, Bologna 2020


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