Gli italiani nella resistenza istriana

Novecento



Scarica il PDF

di Orietta Moscarda

Se il movimento di liberazione jugoslavo aveva trovato i suoi alleati nei contadini croati e sloveni, nei narodnjaci e nel basso clero croato, più difficile risultò invece l'inserimento fra la popolazione italiana delle cittadine e delle campagne, e in particolare fra i dirigenti del Partito comunista italiano (Pci).

Essendo il Mpl un movimento che combatteva contro il fascismo, ma non per il mantenimento della sovranità italiana, fra la popolazione italiana prevalse un atteggiamento di attesa o di non schieramento. Nei centri urbani, come Albona, Pola, Rovigno, Isola ed altri, gran parte degli operai e dei minatori italiani vi aderirono essendo il movimento portatore di un programma rivoluzionario internazionalista.

Il ruolo del Partito comunista italiano, l’unica struttura comunista ad operare sul territorio istriano e fiumano sin dal 1921, fu limitato. Vi avevano aderito anche membri croati e sloveni, ma i suoi dirigenti, tutti italiani, ritenevano che fosse più importante l’unità di classe rispetto all’appartenenza nazionale, vale a dire che la popolazione istriana dovesse sentirsi “fiumana” o “istriana” prima di “italiana”, “croata” o “slovena”. I comunisti italiani locali si trovarono perciò in difficoltà di fronte all’antifascismo improntato principalmente sulla liberazione nazionale, formulato dai comunisti croati e sloveni.

I dirigenti comunisti italiani erano perciò contrari alle rivendicazioni sul territorio istriano e fiumano da parte del Mpl jugoslavo, sostenendo che il Pc croato, le cui cellule fino al 1943 non erano state qui nemmeno costituite, non avesse il diritto di estendere l’attività sul suolo istriano e che il movimento di liberazione da esso guidato fosse in realtà un movimento nazionalista.  

Dopo l’8 settembre 1943, le forze antifasciste italiane presenti nelle cittadine lungo la costa orientale (da Pola a Capodistria), quella occidentale (Abbazia) e nelle isole di Cherso e Lussino, diedero comunque origine a dei comitati di salute pubblica, comitati di liberazione nazionale (Cln) ed altre sigle corrispondenti. Ma la violenza e gli infoibamenti che seguirono nei mesi di settembre e ottobre da parte delle forze del Mpl jugoslavo provocarono terrore e insicurezza fra vasti strati della popolazione italiana, colpita nelle figure rappresentative dello stato e delle istituzioni di appartenenza. 

La politica adottata dal Mpl nei confronti degli italiani fu orientata ad una loro divisione su base ideologica e su quella sociale. La resistenza italiana che si sviluppò in Istria e a Fiume, si differenziò perciò dal MPL jugoslavo per struttura, impostazione, obiettivi politici, respingendo con diversità di accenti l’annessione dell’intera regione alla Jugoslavia. La resistenza italiana incontrò di conseguenza varie difficoltà e nel complesso ebbe una presenza sul territorio decisamente limitata. Nelle zone dell’Istria rivendicate dai croati, i comunisti, ma in genere gli antifascisti italiani, che nelle cittadine istriane nel settembre 1943 avevano comunque dato vita a forme di resistenza, trovandosi isolati dal resto dell’Italia, furono ben presto assorbiti nel movimento di liberazione croato, e il rapporto con la popolazione italiana fu risolto con la politica della “unità e fratellanza” dei popoli e delle minoranze nazionali della Jugoslavia (“fratellanza italo-slava”) e con la fondazione dell’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume (UIIF) nel luglio 1944, per favorire la linea annessionistica del MPL fra gli italiani dell’Istria.

Il leit motive della politica nazionale jugoslava, l’”unità e la fratellanza” fra i popoli, e concretamente la sua variante locale, la fratellanza italo-slava, propugnava la realizzazione di un fronte unico contro il fascismo sulla base di un programma internazionalista. In questo modo una parte dei comunisti italiani iniziò a collaborare con il Mpl, mentre i dirigenti italiani cercarono di resistere all’egemonia politica e poi a quella militare del medesimo. Le forme di resistenza italiane, che erano comunque nate dopo l’8 settembre, furono ben presto assorbite nell’Mpl d’ispirazione jugoslava. E anche quei dirigenti che inizialmente avevano opposto resistenze, furono esautorati come tali e poi inseriti nelle fila del Pcc.

 

Il movimento di liberazione croato si irrobustì progressivamente, tra non poche difficoltà, con l’inclusione degli antifascisti italiani e di molti ex soldati italiani, nonché con l’adesione sempre più massiccia di antifascisti istriani di origine croata e italiana. Accanto ai cambiamenti strutturali nelle unità militari istriane, l’afflusso in massa nell’esercito, specie dall’estate 1944 in poi, aveva anche portato al cambiamento nella sua composizione politica e del Mpl istriano in generale. Le nuove reclute, o i nuovi volontari erano ex appartenenti alle forze armate italiane (i carabinieri di Sanvincenti con il suo capitano Casini, quelli di Canfanaro, di Canal di Leme, di Pedena), oppure giovani istriani di sentimenti antifascisti ma italiani, la cui condotta politica era valutata preventivamente con sospetto, se non negativamente, dal partito comunista, che pretendeva che i resistenti italiani combattessero contro fascisti e nazisti sotto il loro diretto controllo, e, soprattutto, che facessero proprie le tesi annessionistiche slave. L’esperienza dei carabinieri e del suo capitano Casini si concluse in breve tempo e in modo tragico, si presume con la sua fucilazione, assieme alla moglie e ad altri carabinieri, per i contrasti di carattere politico venutisi a creare con il Mpl. Gli altri carabinieri furono dispersi in diversi reparti e impiegati in zone lontane dal territorio istriano.

Nell’Istria nord-occidentale, invece, si svilupparono le strutture della resistenza italiana con i suoi comitati di liberazione nazionale e le formazioni militari ad esse collegate. I movimenti di liberazione italiano e sloveno/jugoslavo, che in queste zone svilupparono forme di collaborazione, non ce la fecero però a superare i contrasti nati soprattutto in materia di confini. La resistenza italiana s’indebolì soprattutto dopo il 1944, quando con la “svolta d’autunno” i comunisti giuliani uscirono dal Cln locale e aderirono alla linea annessionistica jugoslava, mentre le unità partigiane garibaldine passarono sotto il controllo della resistenza slovena.   

Il consistente afflusso di giovani istriani, italiani e croati nelle file partigiane non soltanto comportò la ristrutturazione delle unità militari istriane del Mpl, ma causò riflessi negativi sulla situazione politica interna. Così nella primavera 1944 furono ricostituite la I brigata istriana “Vladimir Gortan”, il I distaccamento “Učka”, il II Distaccamento polesano, mentre il potere militare delle retrovie venne diviso in quattro unità territoriali. Si arrivò alla formazione di un battaglione italiano, il “Pino Budicin”, che fu incluso nella brigata istriana “Vladimir Gortan” e quindi, nell’agosto 1944, con altre brigate istriane, nella neocostituita Divisione istriana, la 43° dell’esercito partigiano.

Nell’Istria nord-occidentale e sul Carso (Buiese, Litorale sloveno, Fiumano), territori controllati dalla resistenza slovena, la quale per lungo tempo collaborò con il Comitato di liberazione nazionale giuliano, operarono invece due unità partigiane italiane, i battaglioni “Giovanni Zol” e “Alma Vivoda”, che formalmente figurava alle dipendenze della “Brigata d’assalto Garibaldi-Trieste”; nel dicembre del 1944 fu creata la seconda brigata Garibaldi, la “Fratelli Fontanot”.

La costituzione di intere unità e formazioni composte da volontari e antifascisti italiani aveva portato alla richiesta da parte della dirigenza politica e militare rovignese – che deteneva il primato fra gli antifascisti italiani nella regione – di formare una brigata composta unicamente da italiani. Anche se in un primo momento il Comando operativo dell’Istria sembrava avesse espresso parere favorevole alla riunione delle varie unità combattenti italiane della regione in una formazione più grande, i nuovi volontari istriani furono invece inviati nel Gorski Kotar, nella regione della Lika, o aggregati nelle più disparate formazioni croate. La formazione di una grande unità partigiana italiana, oltre ad essere difficile da gestire politicamente, in realtà avrebbe potuto costituire motivo di rivendicazione territoriale per le forze politiche antifasciste italiane a fine conflitto.

Nella seconda metà del 1944, le truppe partigiane dall’Istria si ritirarono al di sopra della linea Fiume-Sussak, nel Gorski Kotar e quando, nell’autunno 1944, i tedeschi assunsero il controllo quasi totale della penisola istriana, le unità partigiane, incluso il battaglione “Pino Budicin”, si ritirarono nelle zone vicine della Slovenia e del Gorski Kotar. Dall’Istria meridionale, il battaglione italiano raggiunse per un breve periodo la Slovenia e poi il Gorski Kotar e la Lika, per ritornare in Istria soltanto dopo la sua liberazione nel maggio 1945.

Tutto ciò portò anche a problemi politici legati alle diserzioni, inizialmente dalle unità militari croate, dove gli istriani erano in minoranza rispetto ai partigiani di quei territori (Lika, Gorski Kotar e Litorale croato); in un secondo momento, però, le diserzioni si diffusero nella 43° Divisione istriana che si trovava nel Gorski Kotar, soprattutto per motivi connessi ad atteggiamenti e trattamenti disuguali nazionalistici rispetto ai partigiani delle altre regioni croate da parte dei quadri militari superiori. Le diserzioni continuarono, soprattutto all’inizio del 1945, quando il compito principale dei comandi partigiani locali e delle organizzazioni di partito del territorio, fu quello di effettuare la mobilitazione del maggior numero possibile di persone nell’esercito partigiano, in particolare nella 43° Divisione istriana.

Un episodio significativo, legato alla mobilitazione nell’esercito partigiano è il caso dello scioglimento, avvenuto nel gennaio 1945, dell’organizzazione del partito e del comando partigiano e di tutte le organizzazioni del Mpl nella città di Rovigno, da parte del dirigente circondariale del movimento partigiano. Si trattò di una resa dei conti con quella parte dei comunisti italiani che, nei rapporti con i dirigenti partigiani, avevano fatto leva su diritti di autonomia, basati sui loro trascorsi antifascisti e un monito contro qualsiasi tentativo d’insubordinazione politica e di autonomia all’interno del partito.

 

Bibliografia essenziale

Giuricin Ezio – Giuricin Luciano, La comunità nazionale italiana: storia e istituzioni degli Italiani dell’Istria, Fiume e Dalmazia (1944-2006), Centro di ricerche storiche, Rovigno 2008.

Paoletich Ottavio, Riflessioni sulla resistenza e il dopoguerra in Istria e in particolare a Pola, in “Quaderni”, vol. XV, Centro di ricerche storiche, Rovigno 2003, pp. 83-119.

Sema Paolo, Siamo rimasti soli. I comunisti del PCI nell’Istria occidentale dal 1943 al 1946, Leg, Gorizia 2004.

Ballarini Amleto – Mihael Sobolevski Mihael (a cura di), Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (1939-1947), Roma, 2002.

Peteani Luigi, Gli autonomisti e la resistenza a Fiume, in “Fiume”, n. 24, 1992.


Della stessa tematica