Il Risorgimento in Friuli

Ottocento



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di Luca G. Manenti

La crisi economica del 1846-47 innescò in Europa una serie di proteste che assunsero man mano un connotato sociale. A Udine si verificò una sommossa all'inizio del 1847 ed episodi simili si diffusero nel territorio circostante, alimentando il clima di malcontento che attraversava la penisola. Le riforme avviate da Pio IX appena salito al soglio pontificio, che gli diedero la fama di papa liberale, suscitarono la speranza, presto delusa, che potesse mettersi alla testa del processo d'unificazione italiana.

Questa convinzione portò i bassi strati sociali del Friuli, sia in città che in campagna, a stabilire un nesso tra fede cattolica e opposizione agli austriaci. Furono però i borghesi e i nobili a tenere insieme ambizioni economiche e politiche, inserendole in un quadro nazionale. L'annuncio della riuscita insurrezione di Venezia del marzo 1848 fu accolto con entusiasmo a Udine, dove sorse un Governo provvisorio del Friuli in sostituzione del potere austriaco decaduto. L'adesione del nuovo organismo alla Repubblica di S. Marco fu considerata dai capi della rivolta veneziana, fra cui Giovanni Battista Cavedalis, nativo di Spilimbergo, la testimonianza del superamento dei particolarismi municipali. Intanto, ripresero vigore i moti contadini. I patrioti friulani contavano sulla neocostituita guardia nazionale, che fu utilizzata come strumento di controllo sociale piuttosto che a scopo bellico. Gli imperiali riconquistarono velocemente Udine, Palmanova e in ottobre Osoppo, che resistette a lungo grazie all'abilità del capo militare Leonardo Andervolti. La guardia nazionale fu disciolta e una Legione friulana di reduci corse in aiuto di Venezia. 

Il clero friulano, obbediente alle autorità asburgiche nonostante le interferenze subite nella sfera amministrativa, rimase in genere ligio all'idea della sottomissione del buon cristiano allo Stato. Non mancarono peraltro le attestazioni di solidarietà agli insorti da parte di alcuni preti, sostenitori della causa nazionale da posizioni antiliberali. Ostili al repubblicanesimo e simpatizzanti del neoguelfismo, era in Pio IX che riconoscevano la propria guida, condividendone la successiva virata intransigente. Vi furono preti combattenti, altri benedirono armi e cannoni, ma il ripudio della violenza prevalse in generale sui sentimenti patriottici. Da lì a poco il papa richiamò i reparti inviati sui campi della prima guerra d'indipendenza, trasformandosi in acerrimo avversario del movimento risorgimentale.

Il Quarantotto friulano lasciò in eredità una certa effervescenza della stampa periodica, attenta a cogliere le novità del secolo senza incappare nella rigida censura poliziesca. «Il Friuli», diretto da Pacifico Valussi, fu soppresso nel 1851 e la severità austriaca si spinse fino al punto di vietare i cappelli alla Garibaldi.

Alla vigilia della seconda guerra d'indipendenza sorse a Udine una sezione della Società Nazionale, promossa da Camillo Cavour con il fine di raccogliere sotto le insegne sabaude i monarchici e i repubblicani disposti a collaborare in nome dell'ideale comune. Il ramo udinese prestò soccorso a coloro che espatriavano per arruolarsi nell'esercito dei Savoia o nelle fila garibaldine, aggirando gli editti austriaci che proibivano l'abbandono del Friuli per il Piemonte. Il flusso di volontari alle guerre risorgimentali fu costante nel tempo. Essi facevano affidamento sul Comitato per l'emigrazione friulana di Torino, retto dal conte udinese Prospero Antonini, in contatto con le maggiori personalità della cultura liberale del Friuli, da Valussi a Caterina Percoto. Quattro friulani accompagnarono il contingente sardo in Crimea nel 1855, e uno di loro guadagnò una medaglia d'argento.

Nel giugno 1859, alla notizia del successo militare a Magenta dei franco-piemontesi sugli austriaci, una folla di udinesi circondò il castello che ospitava i soldati asserragliati. L'armistizio di Villafranca, che pose fine alle ostilità, non interruppe la partecipazione dei friulani ai circuiti del patriottismo moderato da una parte e al Partito d'azione dall'altra. In ventidue presero parte all'impresa dei Mille e in numero maggiore alle spedizioni che raggiunsero in seguito le camicie rosse nel Mezzogiorno. All'apertura dei lavori del primo parlamento italiano, riunitosi il 18 febbraio 1861, venne celebrata a Udine una messa speciale nella chiesa di San Pietro, a Cividale furono esposte bandiere tricolori e a Pordenone fu organizzata una marcia silenziosa per esprimere dissenso nei confronti del governo austriaco. Fra i dimostranti vi fu Vendramino Candiani, che sarebbe stato il primo sindaco della città dopo l'annessione all'Italia.

La classe dirigente della regione aveva ormai sposato l'ipotesi monarchica sabauda. Lo provò l'invio delle adesioni dei comuni friulani al cosiddetto plebiscito dei comuni del Veneto del 1860, con cui si chiedeval'unione al Piemonte costituzionale. Al contrario, i cattolici avevano mutato atteggiamento rispetto al passato e guardavano con apprensione alla politica laicista del governo sabaudo, che nel regno di Sardegna aveva soppresso le corporazioni religiose, incamerato i beni ecclesiastici e introdotto il matrimonio civile. Nella campagna contro il brigantaggio condotta in Meridione fra il 1860 e il 1865 furono impiegati bersaglieri, fanti e cavalleggeri friulani, né mancarono dei corregionali al fianco di Garibaldi in Aspromonte nel 1862.

Gli ultimi eventi che in Friuli videro protagonisti i mazziniani furono i moti del 16 ottobre 1864, detti «di Navarons». La sollevazione, preparata fabbricando una grande quantità di bombe all'Orsini, dal nome dell'attentatore alla vita di Napoleone III, era stata pensata per suscitare l'insurrezione nei territori di montagna veneti, trentini e friulani e spianare così la strada a un intervento di Garibaldi. Intenzionate ad attaccare le guarnigioni austriache di Spilimbergo e Maniago ed a incitare la popolazione a ribellarsi, le due bande guidate, rispettivamente, da Antonio Andreuzzi e Giovanni Battista Cella, vennero facilmente disperse. L'iniziativa ricevette sia critiche per l'imperizia dei rivoltosi, sia lodi per essere comunque riuscita a portare all'attenzione della diplomazia internazionale il problema delle terre italiane ancora staccate dal regno.

Nel 1866, stipulata un'alleanza con la Prussia, i Savoia affrontarono gli Asburgo per mare e per terra. Garibaldini e truppe regie riuscirono a strappare delle vittorie in Trentino e nella pianura friulana, ma le sconfitte di Lissa e Custoza ostacolarono ogni ulteriore avanzata a est. Tramite mediazione francese, l'Italia ricevette il Veneto e parte del Friuli, con Udine e senza Gorizia. Il nuovo confine austro-italiano venne a coincidere con il corso del fiume Iudrio. L'esito dei plebisciti d'ottobre fu un schiacciante «sì» a favore dell'unione con l'Italia, sebbene non tutti avessero approvato il risultato. Il 19 dello stesso mese un centinaio di goriziani recatisi a Palmanova per partecipare alla celebrazione del plebiscito vennero malmenati sulla via del ritorno da un gruppo di contadini di Visco.

Dei volontari friulani s'aggregarono alla campagna dell'Agro romano del 1867, quando Garibaldi tentò inutilmente d'espugnare Roma. L’obiettivo venne colto tre anni dopo a Porta Pia dalle truppe regolari capitanate dal generale Raffaele Cadorna, ai cui ordini si trovavano ampezzini, cividalesi, osovani e molti altri provenienti dal Friuli: 960 in tutto, tre dei quali caddero in combattimento. Fino alla prima guerra mondiale Udine funse da punto di transito degli esuli giuliani che riparavano in Italia e, in senso inverso, della pubblicistica irredentista che confluiva clandestinamente a Trieste e in Istria.

A Gorizia, rimasta incorporata all'Austria, il carattere del patriottismo italiano si fece più deciso. Vennero fatti scoppiare dei petardi durante i festeggiamenti per il compleanno di Francesco Giuseppe e si susseguirono i gesti simbolici in chiave italiana: ad esempio, la consegna al municipio udinese del drappo dell'emigrazione goriziana e l'invio a Benedetto Cairoli di una lettera di ringraziamento per aver pronunciato in parlamento parole in favore degli italiani ancora soggetti al dominio straniero. In prospettiva della loro liberazione, nel marzo del 1875 s'incontrarono a Roma Garibaldi e Francesco Tolazzi, friulano di Moggio, ma nessun progetto militare fu realizzato. Alla corrente moderata dei patrioti goriziani, che faceva riferimento a Luigi Pajer de Monriva, deputato a Vienna, si contrapponeva quella radicale di Antonio Tabai, vera e propria palestra politica di una generazione di uomini via via spostatisi in direzione del nazionalismo, in un clima di aumentata tensione con la componente slovena. La collocazione del busto di Dante nei giardini pubblici e il rifacimento della toponomastica cittadina con nomi italiani furono l'espressione più chiara dell'orientamento dei liberal-nazionali sedenti in Consiglio comunale, che insieme alla Società di mutuo soccorso e alla Società di ginnastica rappresentò un centro di difesa dell'italianità. La visita di Vittorio Emanuele III a Udine nel 1903 accese gli animi degli irredentisti goriziani, che l'anno dopo manifestarono per l'ottenimento di un'università italiana.

Nel maggio del 1915, poco prima della dichiarazione di guerra dell'Italia all'Austria, il Consiglio comunale venne sciolto e le figure più in vista fra i mazziniani e i liberali furono arrestate e deportate. La presa di Gorizia divenne meta prioritaria dei comandi militari italiani. Concluse con un nulla di fatto le cinque offensive scagliate fra il giugno 1915 e il marzo 1916, il 9 agosto gli italiani sfondarono le linee nemiche ed entrarono in città. Costretta a sfollare, la popolazione si diresse o nella penisola o in Carniola, a seconda delle opinioni, dei sentimenti e delle stringenti necessità. Riconquistata dagli austriaci con la battaglia di Caporetto nell'ottobre 1917, gli italiani ritornarono a Gorizia al termine del conflitto, concludendo il lungo risorgimento friulano.

 

Bibliografia essenziale

Corbanese G.G., Il Friuli, Trieste e L'Istria tra la fine dell'Ottocento, v. 3, Nel periodo napoleonico e nel Risorgimento, Udine, Del Bianco, 1995.

Corbanese G.G., Il Friuli, Trieste e L'Istria tra la fine dell'Ottocento, v. 4, Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, Udine, Del Bianco, 1999.

Morassi L., Il Friuli, una provincia ai margini (1814-1914), in Il Friuli-Venezia Giulia, a cura di R. Finzi, C. Magris, G. Miccoli, Torino, Einaudi, 2002, pp. 5-148.

 


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