Gorizia nell'Ottocento

Ottocento



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di Luca G. Manenti

La contea di Gorizia, linguisticamente in bilico lungo tutta l’epoca moderna fra tedesco, friulano e italiano nella variante veneta, entrò nei domini asburgici nel 1500. Concluso il ciclo napoleonico, scandito da continue ridefinizioni confinarie, nel 1813 la contea tornò austriaca e cinque anni più tardi fu accorpata al Regno illirico, sottoposta a Trieste invece che a Lubiana, rimanendovi fino al 1849.

Nel lungo e pacifico periodo della restaurazione la città conobbe il fiorire di industrie e un decollo economico imparagonabile alle fortune triestine, ma non meno importante come fattore di rinnovamento. In parallelo si formò una classe sociale di sentimenti liberali intenzionata a erodere spazi di potere a un patriziato culturalmente cosmopolita, saldando ideologia politica e senso d’attaccamento all’Italia. L’elevato grado di alfabetizzazione raggiunto nei primi decenni del secolo, nella cornice di un sistema scolastico in cui predominava il tedesco, fu agevolato dalle ben fornite biblioteche del ginnasio e del seminario, istituto di studi teologici frequentato da chierici italiani e sloveni, particolarmente attivi, questi ultimi, nel movimento nazionale in procinto di svilupparsi. Diocesi da metà Settecento, superate varie vicissitudini e frizioni con Lubiana, nel 1830 Gorizia venne posta a capo di una provincia ecclesiastica da cui dipendevano le diocesi del Litorale.

Il 1848 passò in città senza scosse, nonostante la presenza di un ristretto nucleo di liberali, comprendente il glottologo Graziadio Isaia Ascoli, inventore del termine Venezia Giulia, e Carlo Favetti, il più famoso patriota del posto. Il gruppo diede alle stampe, in ritardo di mesi rispetto allo scoppio dei moti, il giornale «Aurora», accolto con freddezza dalla popolazione, viceversa unanime nel partecipare a una colletta per sovvenzionare delle truppe destinate a combattere i rivoltosi in caso di bisogno. Favetti tentò l’avventura editoriale con il trisettimanale il «Giornale di Gorizia», chiuso nel giro di un anno in ossequio alla revoca della libertà di stampa decisa dalla patente imperiale del 31 dicembre 1851, tappa iniziale del decennio detto neoassolutista. La stampa slovena era tutta d’importazione, sebbene stessero allora emergendo personalità d’orientamento liberale avulse dalle strutture del clero.

Mentre l’industria turistica muoveva i primi passi, la borghesia locale si fece promotrice di iniziative filantropiche per alleviare i disagi degli inurbati e degli operai, provvedendo, fra il resto, alla loro istruzione, senza tuttavia scalfire il monopolio che in tale campo esercitavano i preti. Spesso insegnanti o ispettori nelle istituzioni scolastiche, i sacerdoti predicavano in friulano, tedesco, italiano e sloveno.

La spinta germanizzatrice impressa dall’alto sin dall’età giuseppina non diede risultati durevoli. All’opposto, andò man mano mietendo consensi la causa italiana, alla quale aderirono artigiani e studenti, soprattutto ebrei, la cui comunità si ridusse in maniera progressiva nell’ultimo trentennio del secolo. Alla fazione autonomista fece da contraltare una fetta della cittadinanza tradizionalmente leale verso la dinastia, delineando un quadro variegato di credi politici. Dopo le sconfitte contro i franco-piemontesi nel 1859, che condussero a un riassetto dell’impero, si riattivò la macchina costituzionale e vennero create le diete, deputate a designare i membri del Reichsrat. Se nel consiglio comunale di Gorizia, ricostituitosi nel 1861, la componente italiana era preponderante, nella dieta i rapporti con gli sloveni apparivano bilanciati.

Con l’arretramento del confine italo-austriaco determinato dalla guerra del 1866, la contea venne a trovarsi a ridosso del regno. Fu una fase di rigoglio associativo, che vide la nascita di leghe e circoli d’ispirazione culturale, ludica e, grazie a una legge permissiva del 1867, politica. Le organizzazioni di recente fondazione andarono ad aggiungersi ai club dell’aristocrazia legata a Vienna, rimarcando le distanze fra socialità italiana e filogovernativa. A compiere pubblicamente gesti di sapore goliardico furono i giovani, aventi in Giuseppe Garibaldi un nume tutelare. L’inclinazione filoitaliana dei moderati ebbe la possibilità di manifestarsi nel chiuso dei teatri, specie durante le messe in scena delle opere verdiane, sul modello delle abituali esternazioni di patriottismo che avevano caratterizzato il risorgimento.

Nella partita con il potere centrale, i reggitori del Comune puntarono sulla riforma dell’istruzione media, in teoria ammessa e in pratica negata dal ministero, intenzionato a favorire il tedesco a discapito dell’italiano e dello sloveno. Pur nutrendo entrambi del rancore verso gli organi dello Stato a causa dell’adozione di strategie linguistiche reputate lesive, italiani e sloveni entrarono gradatamente in rotta di collisione. I secondi riuscirono ad esprimere un’intellettualità borghese e laica competitiva sui piani della cultura e dell’economia. Se la Soča liberale e la Gorica clericale costituivano lo specchio della bipartizione ideologica vigente nel microcosmo sloveno, la Società ginnastica, il Gabinetto di lettura e la Filodrammatica erano emanazioni italiane. I militanti più focosi dei due schieramenti attuarono forme di disturbo ai danni dell’avversario, ad esempio in concomitanza dell’inaugurazione di bandiere delle società rivali, ma si trattò sovente di scontri più verbali che fisici.

La classe dirigente, che negli anni Settanta da liberale divenne liberal-nazionale, accentuando una propensione non irredentista ma antigovernativa, mal sopportava sia le frenesie rivoluzionarie dei patrioti oltranzisti, sia l’attitudine repressiva della polizia combinata alla scarsa lungimiranza della magistratura, che arrivò a punire chi aveva indossato delle maschere di carnevale troppo simili, nella foggia e nei colori, alle divise dei volontari garibaldini. I liberal-nazionali non godevano, però, del largo favore che arrideva agli omologhi triestini e istriani, mentre la vivacità dell’anima germanica della città era rappresentata dai fogli «Görzer Zeitung» e «Görzer Wochenblatt». Nel mosaico goriziano, dove italiani, sloveni e tedeschi stavano appaiati dialogando poco o nulla fra loro, la nobiltà al tramonto era l’unico ceto disposto a oltrepassare gli steccati etno-linguistici, non disprezzando neppure di comunicare in sloveno con chi lavorava le sue terre. Richiamandosi all’afflato universalistico della Chiesa, la curia si mantenne equidistante in ambito nazionale, conscia della stratificazione urbana e della compresenza nel seminario di italiani, sloveni e croati.

A fine decennio si staccò dai liberal-nazionali la corrente repubblicana, insofferente dei compromessi e affine, per sentire intimo e desiderio d’azione, al fronte apertamente irredentista della vicina penisola. La parentesi del governo Taaffe, durata dal 1879 al 1893 e contraddistinta da un contegno equilibrato nei riguardi delle nazionalità, fu l’occasione per gli italiani di Gorizia, amareggiati dalla stipula della Triplice alleanza e scossi dal caso Oberdan, di definire meglio i modi e i tempi dei propri obiettivi. Svanito il miraggio di una rapida annessione al regno, il patriottismo s’incanalò in nuove realtà associative, dalla Società politica Unione alla Pro Patria, e in esperienze giornalistiche come il «Corriere di Gorizia», portavoce dei liberali isontini e diretto da Carolina Luzzatto. La scrittrice gli conferì un indirizzo anticlericale, aggettivo che talvolta, in un’atmosfera sempre più avvelenata, equivaleva ad antislavo. All’inasprimento dei toni contribuì la controparte, che con «L’Eco del Litorale», protagonista di ruvide diatribe con «Il Piccolo» di Trieste in merito alla convenienza di rendere lo sloveno materia obbligatoria al ginnasio italiano, virò in direzione di un deciso antisemitismo. Ascoli, che nel 1896 aveva ottenuto la nomina a senatore del regno d’Italia, criticò un atteggiamento antiebraico che rischiava di far ripiombare in un oscuro passato le relazioni fra i seguaci delle religioni mosaica e cristiana.

A fine secolo comparvero sulla scena goriziana i socialisti, più interessati a vedersela con liberali e cattolici che a intervenire nelle dispute fra italiani e sloveni. Nel 1897 si tennero le elezioni con il sistema della quinta curia, che permise un sensibile incremento del numero dei votanti, i quali confermarono la supremazia liberal-nazionale a Gorizia. Ciò nonostante, il partito si arroccò via via sulla difensiva, preoccupato dall’ascesa degli sloveni, imperniata su banche, enti di credito e cooperative rurali. Una parte degli aderenti alla compagine italiana fu attratta, per reazione, dal movimento nazionalista, che nella penisola stava aumentando d’importanza e di dimensioni. Gli stessi liberal-nazionali, non immuni dal generale cambio di clima politico, si spostarono su posizioni inequivocabilmente irredentiste, affidando alla «Sentinella» il compito di propagandarle in termini efficaci.

I giovani patrioti reclamavano, a fianco dei colleghi giuliani, l’università italiana a Trieste, e fecero della biblioteca civica un luogo di cospirazione poco mordace, limitata ad offese verbali e al lancio di qualche petardo, benché ugualmente in grado d’allarmare le autorità austriache. Le guerre balcaniche attizzarono a Gorizia un irredentismo sloveno identico e contrario a quello italiano, prodromi del conflitto mondiale alle porte, che chiuse la storia austriaca di Gorizia, aggregata all’Italia al termine della guerra.

 

Bibliografia essenziale

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Cossar R.M., Tre lustri di contese nazionali goriziane (1882-1897), in «La Porta Orientale», a. XXX, n. 3-4, 1960, pp. 111-118.

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