Le Confraternite d'Età moderna

Età moderna



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di Michela Giorgiutti

La confraternita è una corporazione composta di fedeli in prevalenza laici, canonicamente eretta e amministrata con lo scopo di promuovere la vita cristiana per mezzo di speciali opere dirette al culto divino e alla carità verso il prossimo. È caratterizzata da un'aderenza volontaria, dalla parità fra i soci, dall'autonomia d'intervento. Durante l'Età moderna, questa tipologia associativa registrò una presenza capillare sia in ambiente urbano che rurale. Diffusasi in maniera straordinaria a partire dal basso Medioevo, essa divenne nei tre secoli successivi una componente stabile della comunità. Nel territorio friulano non ci fu chiesa che non ebbe al suo interno l'istituzione di una confraternita, legata al patrono titolare o ad un altare interno, ad una cappella, ad un oratorio o ad una semplice edicola. Il Cinquecento viene considerato il secolo d'oro delle confraternite, poiché ampliarono le modalità di intervento sociale, modificando le forme della beneficenza pubblica, istituendo ricoveri per incurabili ed orfanotrofi; soprattutto in ambito rurale, esse contribuirono a creare i confini della parrocchia, nella misura in cui parteciparono all'organizzazione delle funzioni religiose, dalle processioni alle feste canoniche del calendario liturgico. La loro storia registra tre momenti significativi di trasformazione: durante il ventennio 1600-20, in cui venne riletto il loro ruolo sia dall'autorità religiosa sia da quella civile; tra 1650-60, in cui si registrò una diminuzione della dinamicità interna; tra 1720-40, con i tentativi di ridare vigore ad un istituto in lento declino. La prima vera riflessione sul ruolo delle confraternite risale al Concilio di Trento, quando il 17 settembre 1562 il papa Pio IV approvò il Decretum de reformatione che attribuì la vigilanza ai vescovi: fu il primo passo con cui la Chiesa vide in tali associazioni un elemento di riforma della vita popolare, permettendo la loro istituzione in ogni parrocchia del territorio urbano e rurale, promuovendo la partecipazione alle liturgie e all'attività caritativa. Nel patriarcato di Aquileia, le disposizioni conciliari furono applicate da Giovanni Grimani (1545-1593), da Francesco Barbaro (1593-1616) e da Marco Gradenigo (1629-1656), trovando attenzione specifica anche nei successivi patriarchi Dolfin: Giovanni (1657-1699), Dionisio (1699-1734) e Daniele (1734-1762). Grazie ai loro decreti, dalla fine delle sessioni conciliari agli albori del nuovo secolo, i visitatori apostolici monitorarono l'attività confraternale e coordinarono gli interventi con le autorità civili e giurisdicenti sul territorio. Il Seicento si aprì con la prima regolamentazione comune, la bolla Quaecumque di Clemente VIII, promulgata il 7 dicembre 1604, che tracciò le coordinate per un'esistenza istituzionale riformata delle associazioni devozionali e avviò un nuovo processo che le differenziò dalle conformazioni medievali. Le confraternite friulane vennero sottoposte ad una verifica strutturale con decreto del 4 dicembre 1648 del patriarca Marco Gradenigo, il quale promosse il loro censimento in otto anni, affinché la gran parte delle associazioni ottenesse la «bolla di confermazione», ossia la legittimazione vescovile al loro operato. Nel processo di confessionalizzazione, una prima attenzione dei visitatori fu rivolta al culto e all'ortodossia delle sue manifestazioni. Senz'altro l'eco della trecentesca devotio moderna era presente nella volontà di rinnovamento spirituale, ma tra il secolo XVI e il XVII fu la Chiesa a diventare promotrice di determinate devozioni, parallelamente all'intervento di agenti diversi (vescovo, ordini religiosi, monasteri, predicatori, parroci) che, favorevoli alla imitatio sanctorum, furono i diffusori di celebri agiografie. In Friuli, tra la fine del XVI e la fine del XVIII secolo sono individuabili quattro tipologie devozionali. La prima è quella mariana, che la Chiesa considerava un elemento di forza della cattolicità per limitare l'espansione di eresie e che si manifestò nelle varie declinazioni della Beata Vergine dei Battuti, del Rosario, della Cintura, delle Grazie, di Loreto, della Pietà, della Carità, Annunziata, Assunta, Immacolata Concezione, Natività di Maria, Nome di Maria, Madonna della Neve. La seconda grande classe di dedicazioni riguarda quelle agiologiche: il culto dei santi e dei martiri risentì molto delle influenze locali e furono amplificate dalla diffusione di agiografie, che trovarono nelle arti figurative un raffinato strumento didattico. Nel corso del Seicento, secondo la forma di pietà della chiesa barocca, la devozione sfociò nella spettacolarizzazione e una marcata esteriorità caratterizzò le confraternite intitolate a S. Nicolò, S. Rocco, S. Sebastiano, S. Antonio da Padova; per quanto riguarda la zona isontina, la pietas austriaca diffuse la venerazione per S. Anna, S. Apollonia, S. Barbara, S. Caterina, S. Floriano, S. Lucia, S. Valentino e S. Giuseppe. La terza tipologia di intitolazione è quella cristologica, soprattutto grazie all'influenza dei Gesuiti in area di dominio asburgico e anche in questo caso le intitolazioni furono varie: alla SS. Trinità, al Sacro Cuore, allo Spirito Santo, al Nome di Dio, al Nome di Gesù, al Crocifisso e al SS. Sacramento che ebbe una particolare diffusione, derivante dall'iniziativa domenicana. Infine, la quarta classe comprende altre titolazioni particolari, ad esempio le confraternite di Ognissanti, delle Convertite, della Buona Morte, delle Anime del Purgatorio. Dopo il Concilio di Trento fu loro richiesta la redazione di un codice condiviso, lo statuto, nel quale erano contenuti: la definizione della struttura e della sua composizione; la periodicità e la costanza nelle elemosine e nelle opere di carità (banchetti comunitari, assistenza gli infermi, organizzazione dei funerali); le regole per conservare lo status di confratello (ortodossia, moralità, partecipazione); la calendarizzazione e l'organizzazione delle manifestazioni devozionali (preghiere, messe, processioni). Lo statuto, solitamente mutuato da quello di altre associazioni di medesima intitolazione, conservava sempre alcuni articoli fissi, come la regolarità delle pratiche devozionali, l'aiuto reciproco e l'assistenza: i tre fondamenti che garantivano a tutti i confratelli gli stessi diritti di eleggibilità, di voto, di suffragi spirituali, di sussidi e, al momento, di cristiana sepoltura. Una parte predominante degli articoli statutari si riferisce all'amministrazione della confraternita e del suo patrimonio, definendo gli obblighi delle cariche principali: il cameraro (l'amministratore), l'ufficiale (simile ad un corriere), due o più giurati (coadiutori dell'ufficiale e del cameraro), il consiglio (l'assemblea dei confratelli, l'organo decisionale a cui tutti erano chiamati a partecipare in forza della quota di associazione), il cappellano (il padre spirituale proprio della confraternita); altre figure si aggiunsero in relazione alle attività svolte: deputati alle reinvestite, macieri, infermieri, torcieri, nonzoli, portatori delle salme, della croce, di labari, scrivani, campanari. Questa struttura si riverbera in diversi documenti: nei libri contabili (marcati con il leone di San Marco) contenenti le spese per sostenere ogni attività e i bilanci alla fine del mandato del cameraro (un anno), approvati dall'assemblea e controllati da un pubblico revisore; nei quaderni in quarto o in ottavo, a uso promemoria del cameraro; nelle matricole o ruoli, che elencavano i confratelli e le consorelle con le rispettive quote versate. La duplice dimensione confraternale, da un lato religioso-devozionale e dall'altro economico-sociale, si rese più complessa quando l'aiuto che essa offrì alla comunità si manifestò anche mediante l'attività creditizia, con il prestito di piccole somme di denaro o di generi (granaglie per le semine o animali da cortile), mediante la redazione di contratti livellari e di soccida. L'impiego dei capitali veniva sempre giustificato con la beneficenza: il denaro raccolto serviva a sostenere gli indigenti, acquistare le suppellettili per la chiesa (o cappella), mentre i generi in natura venivano panificati e ridistribuiti. L'operato del cameraro fu oggetto di un controllo sempre più assiduo a partire da due disposizioni: la costituzione di Clemente VIII del 1604 e la legislazione in materia di pias causas dei Dieci Savi sopra le decime in Rialto del 23 marzo 1605, documenti che affrontarono la questione delle competenze, ponendo le basi per l'istituzione di uffici statali predisposti all'osservazione e all'intervento (es.: i Provveditori sopra Ospedali e luoghi pii e al riscatto degli schiavi del 1565, i Deputati ad pias causas, gli Aggiunti al collegio dei savi sopra le decime in rialto del 1766). Nei decreti del 1623, 1644 e 1659 i luogotenenti cercarono di garantire la corresponsabilità nell'amministrazione delle entrate e gli ordini del 1623 stabilirono perfino che i denari venissero depositati in una cassaforte di ferro con tre serrature, le cui chiavi erano assegnate, una ciascuno, al cameraro, al sacerdote e all'ufficiale della confraternita. A metà Settecento si cominciò a delineare una costante diminuzione del consenso verso le confraternite e si accentuò il problema delle interferenze con le mansioni dei parroci, che sentivano venir meno il proprio ruolo di coordinatori della vita religiosa comunitaria; la successiva riorganizzazione della parrocchia e le problematiche inerenti alla gestione del patrimonio incisero sulla diminuzione delle associazioni laiche. Nei territori asburgici, nel 1783, Giuseppe II unificò le confraternite di carità e assistenza in un organismo nazionale, inaugurando una politica delle soppressioni che venne poi adottata anche per i territori di Terraferma da parte dell'amministrazione francese, con il decreto napoleonico del 26 maggio 1807.


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