Dionisio Dolfin e la prima biblioteca pubblica di Udine (1711)

Età moderna



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di Michela Giorgiutti

Dalla seconda metà del secolo XVII gli studi umanistici, scientifici e antiquari ricevettero sempre più attenzione dai nuovi orientamenti culturali che si stavano profilando in Europa, costruendo quell'ideale illuminato del sapere che avrebbe trovato la sua manifestazione nella Repubblica delle lettere. Da Venezia e da Vienna pervennero anche in Friuli i nuovi interessi per le collezioni librarie e le attività di eruditi bibliofili favorirono una approccio nuovo alla circolazione della produzione letteraria, alla fondazione di nuove biblioteche e alla formazione di tipografie di qualità. In particolare, il fervore europeo per l'istituzione di imponenti biblioteche, come la Marciana di Venezia (in funzione dal 1560), l'Angelica di Roma che nel 1604 fu la prima ad essere aperta al pubblico, l'Ambrosiana di Milano (1607) e poi la Casanetense romana (1701) e la Bertoliana di Vicenza (1708), si protrasse anche nel nuovo secolo grazie all'iniziativa di mecenati religiosi e laici. In linea con tale sensibilità, nel 1633 presso la stamperia Schiratti di Udine, il giurista e storico udinese Virginio della Forza pubblicò il trattato De iure novae urbis condendae et incolendae in cui, accanto alla trattazione della fondazione di Palmanova in prospettiva giuridica, affermava che uno dei caratteri essenziali di una città moderna fosse la presenza di una biblioteca pubblica e di una tipografia capace. In questo clima culturale, i patriarchi di Aquileia seppero interpretare le necessità formative dell'epoca, andando oltre l'affinamento dell'istruzione del clero e della catechizzazione dei fedeli (consentita anche in lingua friulana). Giovanni Dolfin, patriarca dal 1657 al 1699, in sintonia con il generale rinnovamento culturale e letterato lui stesso, si dedicò a raccogliere nella personale libreria preziosi codici e libri a stampa, non solo a contenuto teologico e dottrinale, ma anche testi di poesia, di letteratura e di teatro, che rivelavano la sua appartenenza all'Accademia della Crusca. Tale preziosa eredità venne accolta dal nipote, Dionisio, suo successore come patriarca dal 1699 al 1734, che da colto bibliofilo concentrò in un'unica biblioteca i volumi propri e dello zio, progettando una collezione di titoli utili non solo alla cerchia dei canonici, ma anche a quei laici che conoscendo scrittura e lettura volevano accedere a testi di valore scientifico e letterario. Tracciato il progetto ideale per costituire una preziosa ma accessibile biblioteca, Dionisio fece cominciare i lavori di costruzione nel 1708, ristrutturando e ampliando il palazzo patriarcale udinese, in modo da accogliervi migliaia di volumi di vari argomenti su tutte le scienze conosciute. Per l’allestimento della monumentale biblioteca diede disposizioni precise, modellate sui canoni dell’Ambrosiana di Milano e dell'Angelica di Roma, superando l'assetto delle classiche biblioteche monastiche medievali che dislocavano a pettine i leggii e gli scanni. Dionisio fece quindi disporre gli scaffali lungo il perimetro della sala di lettura, su due piani separati da un ballatoio che permetteval'accesso alla parte più alta della sala, richiamando le indicazioni date dai manuali dell'epoca, in particolare dell'umanista Giusto Lipsio (De bibliothecis syntagma, 1602) e del bibliotecario Gabrièl Naudé (Advis pour dresser une bibliotheque, 1627). La biblioteca fu terminata nel 1711 ed inaugurata il 2 agosto, per un costo di 22.000 ducati, secondo quanto scrisse Apostolo Zeno ne Il Giornale dei letterati d'Italia. Il giorno dell'apertura, il medico ed erudito udinese Niccolò Madrisio fece pubblicare a Venezia il discorso celebrativo tenuto a favore del patriarca Dionisio, in cui il palazzo venne definito «singolare per lo disegno, sontuoso per la grandezza, prezioso per la materia» e venne lodata la volontà, poi realizzata, d'istituire una biblioteca pubblica: scelta riconosciuta di grande lungimiranza morale ed elemento indispensabile per il miglioramento culturale della diocesi e dell'intera società. In effetti, fin dalla sua ideazione, la libreria patriarcale fu concepita come un’istituzione culturale aperta al pubblico e liberamente fruibile, concetto che trovò realizzazione materiale nella costruzione di una scala di accesso indipendente dalle stanze patriarcali. Collocata al secondo piano del palazzo, la Delfiniana, così chiamata in onore del suo ideatore, divenne una sede prestigiosa non solo per il contenuto in essa conservato, ma anche per i criteri di arredo e di decorazione che presentavano gli scaffali monumentali, arricchiti da intagli lignei e da inserti pittorici. Il patrimonio librario venne lentamente ampliandosi sia grazie agli acquisti di Dionisio, per i quali si rivolgeva a diversi esperti, sia per le ricche collezioni personali della sua famiglia, in particolare del fratello Marco (vescovo di Brescia dal 1653 al 1704 che lasciò alla biblioteca i libri raccolti al tempo della sua nunziatura presso la corte di Luigi XIV) e quelle dello zio Giovanni, costituite da rari manoscritti. Dionisio, di formazione gesuitica, predispose un'architettura del sapere capace di accogliere nel tempo ulteriori testi, vietandone l'asporto in maniera assoluta, sotto pena di scomunica. I volumi vennero disposti per tematica e contrassegnati da lettere alfabetiche comprensive della collocazione topografica: oltre alla sala e al piano del ballatoio, predispose anche una piccola sala laterale per custodire i libri proibiti, accessibili solo su richiesta, come da disposizione del Sant'Uffizio con decreto dell'11 ottobre 1711. Ad ogni armadio contrassegnato dalla lettera fece corrispondere un argomento, la cui varietà caratterizzò la ricchezza del patrimonio librario: dalla sacra scrittura ai commentari, dalla patrologia alla teologia, dal diritto canonico agli atti conciliari e sinodali, dalla storia della chiesa e degli ordini religiosi alle opere ascetiche e devozionali, dalla liturgia all'agiografia, alla biografia, all'oratoria, alla prosa sacra, dai costumi dei popoli all'araldica, dalla letteratura classica greca, latina e italiana agli epistolari e alle opere poetiche e teatrali, dalle opere di antiquaria alle miscellanee, dalle edizioni di classici (cominiane) ai trattati di architettura militare, dalla geografia alle scienze biologiche. Molti furono i codici ed i manoscritti risalenti al IX fino al XV secolo di carattere liturgico patriarchino (messali, graduali, uffici delle ore, lezionari, libri d'ore) che impreziosirono la collezione; tra i volumi più raffinati confluirono Apocalypsis Ihesu Christi del 1516 con le xilografie di Albrecht Durer; il commento al Vangelo di Matteo di Cromazio d'Aquileia del 1528; una Bibbia in ebraico del 1556; diverse opere di Enrico VIII del 1543 e di Giovanni Calvino del 1566. Tra le opere letterarie si ricordano la Comedia di Dante nella stampa del 1477, i Trionfi di Petrarca del 1488, alcune opere di Boccaccio stampate nel 1479. Tra gli incunaboli confluirono il Liber chronicarum di H. Schedel 1493, diverse opere uscite dalla stamperia di Aldo Manuzio e cinque volumi in greco delle opere di Aristotele, stampati tra il 1495 e il 1498. Molte furono i testi stampati da storici e storiografi del Friuli dal secolo XVI; implementarono il patrimonio opere di botanica (1578), scritti di Albumasar (1489), di Luca Pacioli (1494) ed un trattato di etica musulmana del secolo XVI. La ricchezza delle tematiche rispecchiò il progetto di Dionisio di offrire un'ampia panoramica dei saperi del tempo ed ottenne dal papa Clemente XI, con decreto emanato il 21 agosto 1711, la tutela della conservazione e la gestione della biblioteca da lui fondata. Pochi anni prima della sua morte, fissò nel 1731 la sede dell'Accademia delle Scienze nella biblioteca, favorendo l’incontro degli intellettuali sia laici che ecclesiastici. Tale istituzione, estintasi con la morte del patriarca, trovò una temporanea continuazione nell’Accademia Ecclesiastica, fondata dal successore e nipote Daniele Dolfin nel 1745, aperta però solo al clero e di breve durata. A memoria della grande dedizione del patriarca Dionisio nel sostenere la crescita qualitativa della vita culturale friulana, venne posta un'epigrafe dedicatoria: «Bibliotheca funditus extructa publico perennique commodo donata a Dionysio Delphino patriarcha anno Domini MDCCVIII patriarchatus sui IX». È significativo che Dionisio espresse nel proprio testamento il desiderio che tale patrimonio bibliotecario venisse adeguato al mutare dei tempi, manifestando una prospettiva storica che avrebbe favorito la sua custodia, la sua conservazione e le successive migliorie. Gli immediati successori, i patriarchi Daniele Dolfin (1734-1762) e Bartolomeo Gradenigo (1762-1765), continuarono l'opera intrapresa da Dionisio, aggiungendo ulteriori volumi, tra i quali la rilevante acquisizione di una parte della biblioteca di Giovanni Battista Cornaro (padre di Elena Lucrezia, la prima donna laureata) e affidandosi a eruditi quali il domenicano Bernardo Maria De Rubeus e Domenico Andreussi. La soppressione del patriarcato (1753) non rallentò le nuove acquisizioni, che continuarono grazie a Gian Girolamo Gradenigo (1766-1786). L'arcivescovo, coltissimo e appassionato bibliofilo, riattivò il cenacolo dei dotti nel 1768, dandogli il nome di Accademia ecclesiastica delle Scienze; inoltre, fece acquistare oltre 2.800 edizioni a stampa, stabilì un appannaggio annuale di 500 scudi alla biblioteca e si circondò di personali consulenti, quali Giuseppe Bini, Domenico Ongaro, Gian Giuseppe Liruti, Giambattista Scarsella, Giuseppe Garampi, Girolamo Tiraboschi, Giambattista Schioppalalba e il benedettino Frobenius Forster. Nel 1786 la raccolta raggiunse i 6.070 volumi, le cui ultime acquisizioni di grande pregio provenivano da Roma, Firenze, Venezia, Vienna, Parigi, Lione ed Amsterdam.


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