Se la città era il luogo dove si svolgeva la vita civile, politica, amministrativa e religiosa, era dalla campagna che, in genere, proveniva la ricchezza che consentiva questi elevati tenori di vita.
L’agricoltura romana - già in epoca tardo repubblicana, ma assai di più in età imperiale – non era diretta all’autoconsumo bensì per il mercato. In ciascuna regione si produceva quello che cresceva meglio nelle specifiche condizioni climatiche, ambientali e pedologiche. I prodotti venivano poi distribuiti e venduti in tutto l’ambito dell’impero, mentre, grazie ai commerci, arrivavano i beni che non venivano prodotti in loco.
Le diversità climatiche e morfologiche dell’area regionale si traducevano così in produzioni di natura diversa. L’ampia pianura friulana forniva cereali e vino, ma anche laterizi. L’Istria si era specializzata principalmente nella fornitura di vino e olio. Quest’ultimo, prodotto in volumi notevolissimi, era considerato fra i più pregiati e veniva esportato in tutta l’Italia settentrionale ed Oltralpe: in Rezia, nel Norico (attuale Austria) e in Pannonia. Molto ricercato doveva essere anche il garum (un condimento a base di sale e scarti di pesce, antenato della nostra colatura di alici) che si produceva in alcune località costiere.
Le ville rustiche erano il motore di tali produzioni: erano il cuore organizzativo del lavoro della terra, della raccolta, lavorazione e smistamento dei prodotti. Accanto agli edifici e impianti produttivi, poteva esserci una zona residenziale, dove soggiornava il padrone - che abitualmente stava in città - con la sua famiglia ed i suoi amici. Quelle più ricche e di maggiori dimensioni erano a capo di vaste proprietà terriere appartenenti ai membri del ceto senatorio e ad altri personaggi eminenti della società.