Il tribunale del S. Uffizio di Udine e i tribunali inquisitoriali periferici (1551-1798)

Età moderna


Nel 1542 Paolo III rinnovò la struttura della rete di tribunali costituenti l’inquisizione romana, istituendo la Congregazione del Sant’Uffizio; cinque anni dopo anche la Repubblica di Venezia  riorganizzò l’attività inquisitoriale con l’istituzione della magistratura dei Tre Savi sopra l’eresia, i quali partecipavano alle sedute affiancandosi al patriarca di Venezia, al nunzio apostolico e all’inquisitore di nomina papale. Per l’Istria veneta fu competente il Sant’Uffizio di Venezia mentre in Terraferma i tribunali furono assegnati alle singole diocesi. Nel territorio friulano, il tribunale venne istituito nel 1575 e derivò dall’accorpamento della sede inquisitoriale di Aquileia (operante dal 1556 il cui inquisitore risiedeva a Udine) con il tribunale di Concordia (attivo dal 1558 e dotato di un inquisitore residente a Portogruaro); tale tribunale di Aquileia-Concordia rimase operante fino al 1806, quando venne soppresso con decreto napoleonico (26 luglio). Nei territori arciducali (Gorizia, Trieste e l’Istria asburgica) non vennero istituiti tribunali e questo destò la preoccupazione della curia patriarcale di Udine per l’influenza di vicine correnti eterodosse. Infatti, dopo il 1560, membri d’importanti famiglie nobili goriziane (rami dei Della Torre, Attems, Dornberg, Lantieri, Eck, Orzon) aderirono al luteranesimo, così come funzionari pubblici, commercianti e artigiani del capitanato di Gradisca. A presentare i casi da esaminare erano deputati i padri inquisitori, che facevano riferimento al centrale Sant’Uffizio di Roma, mentre la Congregazione stabiliva le pene da assegnare. L’inquisitore aveva come collaboratori il vicario generale, i commissari e i vicari foranei; verso la metà del Seicento l’inquisitore era il giudice di fede più importante, mentre il patriarca di Aquileia e il vescovo di Portogruaro rivestivano ruoli marginali, con compiti di riunire i membri del tribunale e aprire i processi formali. In Friuli l’attività del tribunale di Aquileia-Concordia si incentrò su alcune tematiche, per le quali nel corso del Seicento prevalse la procedura sommaria rispetto al processo formale; i capi d’imputazione più frequenti furono il ricorso o l’esercizio della magia e della stregoneria, la lettura di testi proibiti (l’Indice risaliva al 1559), l’azione dei Benandanti, l’adesione a dottrine eretiche, il mancato rispetto della disciplina del clero, la bigamia dei laici, il consumo di cibi proibiti, le situazioni di irriverenza ed irreligiosità ed un processo per santità (Marta Fiascaris di San Daniele). Intenzione individuale e scandalo pubblico furono ritenuti i fattori più importanti per compilare la sentenza. Gli inquisiti potevano essere sia religiosi secolari che laici, tra i quali comparvero numerosi soldati della fortezza di Palma (per eresie, consumo di cibi proibiti, per stampa, commercio e detenzione di libri proibiti e per apostasia). Le pene previste si divisero in pecuniarie (offerte obbligatorie a chiese e monasteri, la confisca parziale o totale dei beni), corporali e spirituali, mentre le condanne capitali effettive furono soltanto tre (Ambrogio Castenario, 1568; Daniele di Dionisio, 1588; Domenico Scandella detto Menocchio, 1599).


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