Pordenone

Città


PORDENONE (Età medievale) 

Come per altre città della regione, le origini di Pordenone quale centro urbano non vanno ricondotte all’epoca romana, bensì a quella medievale. Gli insediamenti di età romana, come la grande villa di Torre di Pordenone –  in prossimità di un approdo fluviale, con annessi dedicati allo stoccaggio e lavorazioni dei prodotti agricoli – e altre più modeste, ritrovate tra i rilievi pedemontani e il Meduna, indicano la prevalenza dello sfruttamento agricolo del territorio, che doveva essere molto produttivo. Nei secoli successivi, profonde trasformazioni interessarono questa zona: l’avanzamento dei conoidi detritici dei torrenti Cellina, Colvera e Meduna ridussero la superficie coltivabile della pianura, la rete idrografica stessa venne modificata e, al degrado delle strade romane, fece seguito un più intenso utilizzo delle vie d’acqua.

 Nei secoli successivi al Mille, con la ripresa dei commerci a lunga distanza, acquistò sempre più importanza il luogo in cui terminava il tratto navigabile del Noncello – situato più a valle rispetto all’approdo di epoca romana di Torre – chiamato Portus Naonis e favorito dalla presenza di un’insenatura e di un rilievo (motta) che la dominava. Il luogo doveva essere abitato da tempo: lo testimoniano le tombe altomedievali rinvenute sotto palazzo Ricchieri; tuttavia le prime testimonianze scritte risalgono appena agli inizi del XIII secolo. Lo sviluppo dell’insediamento a partire da quell’epoca è legato certo alla sua funzione di approdo fluviale, collocato ben addentro alla terraferma, e da cui era possibile raggiungere il mare, ma anche alla sua particolare situazione politico-giurisdizionale. Già dall’XI secolo l’area pordenonese – a partire dall’ampio possedimento denominato Curtis Naonis (ora Cordenons) – appartenne a varie dinastie d’Oltralpe, ultima delle quali furono i duchi d’Austria (poi Asburgo). Essa costituiva un’enclave –  un corpus separatum sarebbe stato definito più tardi – un territorio che non era soggetto al patriarca di Aquileia pur trovandosi all’interno dell’area geografica da lui governata.

La lontananza dai centri dei loro domini, divenne per i signori d’Oltralpe un’opportunità per fare di Pordenone il fulcro dei traffici tra le loro terre e il Mediterraneo, in concorrenza con la vicina Sacile, porto fluviale sul Livenza, di obbedienza patriarcale. E, non a caso, una delle prime menzioni scritte del centro abitato, riferita agli anni 1220-21, attesta che il patriarca di Aquileia, nel corso di una guerra contro i trevigiani, rovinò il porto di Pordenone e incendiò le case circostanti. I danni furono prontamente riparati e l’insediamento continuò ad aumentare quanto a popolazione e a svilupparsi come comunità civile, tanto che nel 1291 vennero concessi dal duca Alberto I d’Asburgo gli Statuti e alcune autonomie amministrative. Sul piano religioso, tale crescita d’importanza è testimoniata dalla erezione a parrocchia, nel 1278, della chiesa di S. Marco, che fino a quel momento era una semplice cappella della matrice che si trovava a Torre. Furono queste le tappe di un percorso che portarono, nel 1314, a qualificare come “castrum et civitatem”, cioè nucleo urbano e castello quella che fino ad allora era stata definita come “terra”, vale a dire semplice borgo cinto da mura.

Qualche anno dopo però, nel 1318, un rovinoso incendio, originatosi nella bottega di un fabbro, si estese rapidamente a tutto l’abitato, che evidentemente era costruito in gran parte in legno, consumando tutti gli edifici in un immane rogo. Certo fu una catastrofe, ma nello stesso tempo occasione di rinascita; esso segnò infatti l’inizio di una ricostruzione che dette alla città l’impronta urbana che tuttora caratterizza il centro storico. Tutto l’abitato venne organizzato sulla base di un asse nord-sud – la Contrada maggiore (oggi corso Vittorio Emanuele II) – che attraversava la città, collegando il porto con la strada che, per Spilimbergo e Gemona, portava ai passi alpini. Lungo tale via si affacciavano case e palazzi in muratura, sorretti da portici che consentivano di transitare, lavorare e commerciare stando al riparo. 

Dopo la conquista del Patriarcato di Aquileia da parte di Venezia, nel 1420, e soprattutto nella seconda metà del secolo, Pordenone attraversò un periodo difficile, vuoi per i problemi di tipo economico, dovuti alle maggiori restrizioni imposte ai traffici, che per le discordie interne, esasperate dal malgoverno di alcuni capitani austriaci. La situazione, tuttavia, non mutò radicalmente fino agli inizi del Cinquecento, quando si arrivò allo scontro diretto tra la Serenissima e l’impero, sul cui trono sedevano gli Asburgo, signori anche di Pordenone. La città venne subito conquistata (1508) dalle truppe di S. Marco, che ne concesse il dominio al condottiero Bartolomeo d’Alviano. Seguì un periodo di alterne vicende belliche, alla fine del quale la pace di Worms stabilì definitivamente l’appartenenza della città a Venezia. Per un quindicennio ancora però Pordenone restò in mano ai discendenti del d’Alviano e solo nel 1537 entrò nell’effettivo dominio della Serenissima, pur mantenendo uno status distinto dal resto del Friuli. Il mutare delle condizioni geopolitiche comportò anche importanti trasformazioni economiche: vennero meno le condizioni che avevano fatto sviluppare i traffici tra la città e l’Oltralpe e si svilupparono invece attività di tipo ‘industriale’, basate sull’utilizzo dell’energia idraulica. L’acqua, di cui era ricca la zona, faceva muovere mulini per macinare il grano, magli per lavorare i metalli, folli per battere i panni, seghe per tagliare il legname, impianti per produrre la carta. Ciò influì sull’assetto economico e sociale, non meno che sull’aspetto dell’area urbana.

 


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