Aquileia (Udine)

Città


Età romana

Nel 183 a.C. il senato romano decise la deduzione della colonia latina di Aquileia, baluardo contro le minacce che in quegli anni, nel settore più orientale d’Italia, provenivano da nord (Galli) e da est (Istri). Aquileia venne fondata nel territorio dei Galli (ager Gallorum), di quei Galli Transalpini che nel 186 a.C. si erano insediati nell’odierno Friuli orientale e che tre anni dopo erano stati espulsi dal console Marco Claudio Marcello.
La pretesa dei Galli Transalpini di essersi stabiliti in una terra di nessuno (deserta per solitudines) non è verisimile: le sempre più consistenti acquisizioni archeologiche riferibili all’età del bronzo e del ferro dimostrano l’esistenza, nella regione occupata dai Galli e poi sede della colonia, di un sito protostorico a forte vocazione emporiale.
Le operazioni di impianto della colonia furono affidate ad una autorevole commissione di tre magistrati (triumviri), costituita da due ex consoli, Publio Cornelio Scipione Nasica e Gaio Flaminio, e da un ex pretore, Lucio Manlio Acidino. La terna, eletta nel 183 a.C., portò a compimento l’impresa due anni dopo.
Nel 181 a.C. furono trasferiti ad Aquileia 3.000 fanti (con le loro famiglie), assieme a centurioni e cavalieri, a cui furono assegnati lotti di terra di un’entità senza confronti. Nel 169 a.C. la colonia fu rinforzata con altre 1.500 famiglie. Aquileia nel 90 a.C., in base ad una legge Giulia, divenne municipio di cittadini romani, iscritti alla tribù Velina, e poi, probabilmente in età augustea, colonia di diritto romano.
La città, che fin dalle prime fasi fu dotata di una solida cinta muraria, di un porto fluviale e del Foro, fu oggetto fra l’età di Cesare e il principato Giulio-Claudio di un radicale rinnovamento edilizio e di una riqualificazione urbanistica e architettonica. Aquileia, potenziati i collegamenti terrestri, marittimi e fluviali, conobbe una straordinaria evoluzione economica e commerciale che la portò a diventare il centro nevralgico dei traffici fra il Mediterraneo e l’Europa centrale fino al Danubio.
Porta dell’Impero romano verso Oriente, la colonia dalla metà del II sec. d.C. fu ripetutamente coinvolta nelle guerre combattute fra le legioni romane e i popoli invasori, e tra gli eserciti degli imperatori, legittimi e usurpatori, che si contendevano il controllo del potere. L’ultimo di una lunga serie di assedi fu quello degli Unni di Attila (452 d.C.), che di fatto intensificò il declino della città romana.

 

Età medievale

L’evoluzione di Aquileia in età medievale è inscindibilmente legata all’affermazione del cristianesimo ed al ruolo che la città svolse come sede di un prestigioso episcopato. Dopo la concessione della libertà di culto accordata con l’editto di Costantino del 313, vennero fatte edificare dal vescovo Teodoro due aule basilicali, i cui pavimenti mosaicati sono tuttora visibili. Ma già alla fine del secolo il vescovo Cromazio promosse la costruzione di un vasto complesso: una nuova grande basilica, che sorse al di sopra di esse, il battistero ottagonale, eretto davanti alla sua facciata, e il porticato che collegava i due edifici. Nelle vicinanze della città sorsero le due basiliche extraurbane di Monastero e Beligna.

Anche questi edifici vennero devastati e distrutti assieme alla città nel 452 (si possono ancora vedere le tracce dell’incendio sopra i mosaici), ma in seguito vennero ricostruiti. Al venir meno, infatti, delle autorità civili, corrispose la crescita di autorità e prestigio dei vescovi, che erano i metropoliti di una vasta provincia ecclesiastica, estesa dall’attuale Ungheria all’Austria, che da Aquileia aveva ricevuto il verbo cristiano e la riconosceva quale proprio riferimento in campo religioso. Come tale era meta di pellegrinaggio da parte di persone, per lo più di rango elevato, che provenivano da quelle terre. Sul piano materiale invece, per tutto il periodo alto medievale la città si era ridotta ad un modesto insediamento, che occupava solo la parte meridionale dell’antica metropoli. I suoi stessi vescovi non vi risiedevano più, se non saltuariamente. Già nel 568, all’arrivo dei Longobardi, si erano trasferiti nella vicina Grado, isola separata da Aquileia dalla laguna e rimasta in mano bizantina. La situazione precipitò nel 607, quando nel corso della controversia teologica dei “Tre capitoli” si ebbe l’elezione a patriarca di due prelati schierati su fronti opposti: uno rimase a Grado l’altro si rifugiò in territorio longobardo, ad Aquileia prima, per rivendicarne il titolo, e poi a Cormons.

Fu solo nel corso dell’XI secolo che un patriarca, Poppone, dette nuovo impulso alla città, promuovendo opere di restauro e ricostruzione, in particolare della basilica, che assunse l’aspetto che vediamo ancor oggi (la riconsacrazione avvenne nel 1031). La vasta struttura dei granai cittadini (horrea) di epoca tardo antica venne restaurata e riadattata a fungere da palazzo patriarcale e da canipa (magazzini, cantine) per conservare i prodotti conferiti dai contadini che lavoravano le terre della “mensa” patriarcale; nelle vicinanze si trovavano anche la loggia dove si riuniva il Capitolo e le abitazioni dei canonici. Nel Due e Trecento abbiamo notizia che la città era divisa in due parti dalla strada che univa la porta nord (porta Utina) con quella sud (porta della Beligna). Questa linea segnava anche il confine tra due diverse giurisdizioni: la metà orientale, chiamata Pala Crucis, spettava ai canonici del Capitolo, mentre quella occidentale ricadeva sotto l’autorità comunale. Qui vi era anche il forum, la piazza dove si affacciavano le botteghe di mercanti e artigiani e il palazzo del Comune, sede delle magistrature civili, completato nel 1322; a sud della piazza, adiacente al ponte che attraversava il Natissa, vi era il mercato del pesce (piscaria). La città era cinta da mura, al di fuori delle quali – non per mancanza di spazio all’interno, ma per precisa scelta – si trovavano il monastero femminile di Santa Maria, il Capitolo di Santo Stefano e l’abbazia della Beligna. In prossimità delle porte vi erano le strutture destinate ad ospitare pellegrini e malati (lo xenodochio) e, più isolato, il lebbrosario di S. Lazzaro.

Nonostante desse il nome al patriarcato come sede vescovile e come entità politica, per tutto il medioevo Aquileia non fu sede di residenza dei patriarchi, che vi si recavano, con il loro seguito, solo in occasione delle festività più importanti, richiamati altrove dalle cure della loro vastissima diocesi e disincentivati dalle cattive condizioni e dall’insalubrità del luogo. Le vere capitali del patriarcato divennero prima Cividale e poi Udine. Nonostante i tentativi di rivitalizzare quella che ormai era solo una modesta cittadina, dalla seconda metà del XIV secolo la decadenza si accentuò ulteriormente. Inclusa nei domini della Serenissima nel 1420, nelle prime fasi della guerra che oppose quest’ultima agli Imperiali, nel 1509, venne conquistata dagli Asburgo, nei cui domini rimase fino alla prima guerra mondiale.


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