Udine

Città


Età medievale

Risulta evidente come la collina che sorge isolata in mezzo della pianura costituisse un’eccellente postazione strategica e che, per questo motivo, fosse stata utilizzata nei tempi più antichi, com’è comprovato da rinvenimenti di epoca romana e longobarda. Tuttavia, la formazione in tale sito di un vero e proprio abitato e la sua trasformazione in un centro cittadino, costituisce uno sviluppo che data agli ultimi secoli del medioevo.

La prima volta in cui Udine viene chiamata con tale nome è del 983, in un atto con il quale l’imperatore Ottone II confermava al patriarca di Aquileia il possesso di cinque castelli, fra cui quello di Udene. Fino a gran parte del XII secolo la realtà udinese era costituita da un castello sul colle – in cui risiedevano gli ufficiali patriarcali, i milites incaricati di presidiarlo, con le loro famiglie, e saltuariamente il patriarca – e da alcuni villaggi rurali nella piana. Alcuni elementi contribuirono a far crescere tale insediamento in dimensioni ed importanza: 1, la costruzione di due canali (rogge) per portare l’acqua del Torre, uno attestato nel 1171, l’altro nel 1217; 2, il fatto che qui venisse ubicata la canipa patriarcale, cioè i magazzini dove venivano fisicamente portati e conservati i prodotti agricoli che i contadini dovevano conferire come censo sulle terre di proprietà della Chiesa aquileiese (la canipa risulta già esistente nel 1160). Ciò non solo fece incrementare le attività commerciali e artigianali del luogo, ma contribuì a creare un polo d’attrazione abituale per la popolazione che risiedeva nel Friuli centrale. Un ulteriore motivo che favorì lo sviluppo era costituito dal fatto che poco distante dal colle correva la strada principale che collegava Aquileia e i porti del litorale con i valichi montani (la via Bariglaria, nome derivante dai barili entro cui venivano trasportate le merci), per la quale Udine divenne una comoda tappa intermedia. Tra XII e XIII secolo il tracciato della via si spostò fino a lambire la collina: questo tratto divenne il mercato cittadino (ancor oggi si chiama Mercatovecchio), secondo un modello oltralpino in cui è la strada e non la piazza la sede del mercato.

Nel 1223 il patriarca Bertoldo di Andechs concesse a Udine il diritto di mercato; la concessione venne rinnovata nel 1248 e ampliata con l’esenzione dalle imposte fiscali a chi già risiedeva e a quanti sarebbero venuti ad abitarvi. Venne così creato un nuovo spazio per il mercato – chiamato Foro novo (oggi piazza Matteotti) – mentre tutta l’area circostante venne divisa in lotti, assegnati a chi si impegnava ad edificare una casa. Negli anni ’70 del Duecento venne ultimata una cerchia muraria che partiva dal castello e cingeva tutto l’agglomerato, unendolo in un’unica entità. Attraverso questo insieme di provvedimenti, nella seconda metà del Duecento la fisionomia dell’abitato mutò profondamente anche sul piano giuridico e istituzionale: Udine divenne una Comunità, che, per privilegio patriarcale, disponeva di propri Consigli e magistrature, poteva amministrare autonomamente i dazi e le imposte locali, si reggeva secondo propri Statuti e aveva rappresentanti nel Parlamento della Patria.

La crescita demica ed insediativa continuò a ritmo sostenuto, richiedendo la costruzione di ulteriori cerchie urbane, che inclusero via via i villaggi rurali esistenti nella piana sotto il castello. L’ultima cerchia edificata – iniziata nel 1340 e conclusa solo nel 1440 – racchiuse un’area di ben 1.800.000 mq. e, fino alla fine dell’Ottocento, costituì il limite del centro urbano. Un impulso decisivo alla crescita venne anche dalla presenza sempre più frequente a Udine dei patriarchi, con il loro seguito, che, nel corso del Trecento, la preferirono a Cividale quale luogo di residenza e di svolgimento delle sedute del Parlamento.

 

Età moderna

L’inclusione del Friuli nei domini di Venezia, nel 1420, ebbe importanti ripercussioni anche sulla ridefinizione della gerarchia dei centri urbani di tutta la Patria del Friuli. Quale luogo da cui governare l’intera provincia venne scelta Udine, non tanto perché era stata la sede preferenziale dei patriarchi, ma per la sua centralità rispetto al Friuli e soprattutto perché la città, assieme alla famiglia Savorgnan, aveva dato un forte appoggio a Venezia, a differenza di Cividale che l’aveva osteggiata. Se l’intervento della Serenissima non toccò in maniera sostanziale l’assetto istituzionale e legislativo, fu all’architettura urbana che venne demandato il compito di rendere visibile il nuovo potere.

Gli interventi si concentrarono in un’area abbastanza circoscritta, che venne designata come il nuovo centro di rappresentanza. Venne anzitutto costruito un nuovo palazzo destinato ad ospitare il Consiglio e le magistrature cittadine, edificato con palesi richiami al Palazzo Ducale veneziano. Venne poi rimaneggiato tutto lo spazio che collegava quest’ultimo al castello, sede del Luogotenente: si edificò una scala coperta tra i due edifici (1486-87) che riprendeva il motivo degli archi trilobati veneziani e venne creata una piazza – l’attuale piazza Libertà, un tempo Contarena – che, a differenza delle due precedenti dedicate al mercato, doveva costituire uno spazio dedicato esclusivamente alla manifestazione del potere pubblico. Per ottenere tale piazza vennero demolite parecchie case, venne abbattuta e ricostruita in forme diverse la chiesa di S. Giovanni Battista, fu contenuta la pendice collinare e colmati i dislivelli che esistevano; infine venne eretto l’elegante porticato coronato dalla Torre dell’Orologio, simile a quella di Venezia. I danni prodotti al castello dal terremoto del 1511 offrirono l’occasione per spianare gli edifici esistenti sul colle e ricostruire in forme diverse quella che era la sede dei rappresentanti del governo veneziano.

Il processo di ristrutturazione richiese molti decenni (dal 1517 al 1567) tra le pressioni dei Luogotenenti e la resistenza della popolazione, ma, alla fine, tutta l’area assunse un aspetto decisamente ‘veneziano’. L’operazione infatti aveva un significato più politico che urbanistico ed affermava la presenza non solo del Luogotenente, ma di Venezia stessa come unica Dominante della Patria del Friuli, territorio i cui ceti dominanti restavano per lo più impermeabili o ostili al Dominio Veneto.

Nel corso del Cinquecento, la città era circondata dalla quinta e ultima cinta muraria, costruita a metà Quattrocento e contenente poco più di duecento ettari di terreno. Entro tale spazio i cambiamenti urbanistici del secolo furono per lo più qualitativi e riguardarono palazzi nobiliari e della rappresentanza politica. Le attività mercantili ed artigiane furono incentivate dal Consiglio cittadino, che concedette sovente il permesso di incorporare spazi adiacenti alle abitazioni per destinarli a botteghe, dispense, granai, aie coperte e magazzini. A seguito del terremoto del 1511, la città destinò i propri fondi alla ricostruzione di intere zone urbane: le famiglie nobiliari sistemarono o costruirono ex novo i propri palazzi secondo il nuovo modello architettonico rinascimentale. La decorazione scultorea assunse un ruolo importante per la celebrazione di Venezia e dei suoi funzionari: a seguito della battaglia di Lepanto (1571) molti luogotenenti collocarono i loro busti in diverse zone della città distribuendo anche epigrafi, iscrizioni, stemmi e archi commemorativi, per i quali si ricorse ad artisti di fama, come Andrea Palladio, autore anche di uno dei palazzi degli Antonini. Acquistarono una nuova rilevanza le piazze, come l’attuale Piazza Libertà. Pittori e scultori vennero chiamati a decorare i palazzi pubblici ma anche la committenza privata approfittò di loro per decorare le facciate delle proprie case. Il Cinquecento portò un arricchimento artistico anche agli edifici di culto siti nel cuore della città (chiesa della Beata Vergine del Carmine, 1522; chiesa di S. Valentino, 1524). Il secolo successivo si aprì con la costruzione del primo palazzo per la residenza stabile dei patriarchi, in precedenza ospitati nelle abitazioni nobiliari. Caratteristica del Seicento udinese fu l’istituzione di diversi conventi femminili, con intenti educativi (casa delle Zitelle, ginnasio affidato ai Padri Barnabiti).

Le pestilenze che si susseguirono dal 1576 al 1631 ebbero però conseguenze rovinose. La conseguente crisi demografica, accompagnata alla politica veneziana che riservava al Friuli le funzioni di cordone di sicurezza e di fornitore di risorse, escludendo ogni politica di incentivazione economica, condusse al blocco dello sviluppo urbano. Fece eccezione la bonifica della zona paludosa a sud del centro, che fu trasformata in un’ampia piazza (già detta Antonina ora Piazza Garibaldi). L’attività costruttiva riprese nella seconda metà del secolo, con la ristrutturazione e l’abbellimento di molte dimore signorili, mentre scomparvero numerosi residui medievali, come torri e parti delle antiche mura.

Nel Settecento, in concomitanza alla nomina di Udine come centro della nuova arcidiocesi (1753), vennero riaperti i cantieri del palazzo patriarcale e del duomo, le chiese furono rinnovate secondo il gusto tardo barocco e si costruirono nuovi edifici cultuali (cappella Manin, convento dei Padri Serviti presso la chiesa della B.V. delle Grazie, l’Oratorio della Purità). Anche i palazzi signorili si rinnovarono e videro l’apporto decorativo di noti artisti, fra cui i Tiepolo. L’intervento del luogotenente mirò a concedere nuovi spazi al commercio, come accadde al fondo del palazzo Della Torre, che fu devoluto al fisco e trasformato in una piazza di mercato.

La città riprese ad espandersi e nella seconda metà del Settecento raggiunse i 15.000 abitanti. Entro il perimetro della cinta muraria si distribuivano quindici borghi, una cinquantina di edifici cultuali, dieci monasteri e sette conventi, cinque ospizi e undici palazzi di rappresentanza. Alla fine del secolo, con la caduta di Venezia e l'ingresso a Udine dei francesi di Napoleone (1797), la distruzione della maggior parte dei decori scultorei, richiamanti la dipendenza dal governo centrale della Serenissima e presenti nelle piazze, sui palazzi, lungo le vie principali, segnò simbolicamente per la città il passaggio ad una nuova realtà amministrativa.

 

Da Napoleone all’annessione del Friuli all’Italia (1797-1866)

Dopo la fine della Repubblica di Venezia (1797), con l’avvento di Napoleone Udine è accomunata alla svolta epocale che, a cavallo fra Settecento e Ottocento, ha visto il governo delle città e del territorio come una delle leve principali per la nuova società da edificarsi sulle macerie dell’antica. Sulla base degli ideali illuministici repubblicani la città diventò una questione di interesse pubblico, e fu dotata di strumenti ritenuti adatti ai nuovi programmi razionalistici di rifacimento e sostituzione delle città ereditate dal passato: sistema metrico decimale e unificazione dei pesi e misure, catasto, commissione d’ornato, esproprio, piano regolatore generale gli strumenti principali della nuova gestione tecnico-amministrativa. L’eliminazione delle dogane interne, la soppressione dei privilegi feudali, la nuova figura del prefetto, la soppressione delle corporazioni e la confisca dei beni ecclesiastici furono gli atti politici preordinati allo sviluppo urbano (in realtà stagnante nei decenni successivi non essendo rimessi in circolo i beni confiscati). Benché alle nuove politiche presiedesse la ragione, nel rifiuto della storia in nome del progresso civile, della funzionalità e dell’igiene, i risultati furono molto parziali, anche dopo il definitivo subentro dell’Austria. Improntata all’ésprit de gèomètrie, la concezione della città si distolse dalla costruzione di spazi ricchi di senso, anzi cercò di sottrarre ogni senso dove c’era già, depositato dalla storia, come nei centri storici. L’idea di città era elementare: rettificare le strade tramite le demolizioni e l’arretramento dei fronti, angolo retto dovunque possibile. Senza un disegno complessivo, fattibile solo disponendo di risorse adeguate, e senza un piano regolatore, obbligo disatteso grazie alla grande disponibilità di aree entro la quinta cerchia a fronte di una crescita demografica molto modesta – dai 15.000 abitanti al tempo della caduta di Venezia ai 25.000 abitanti al momento dell’annessione – il perseguimento degli obiettivi restò affidato all’applicazione delle norme tramite l’attività della Commissione d’ornato.

Il centro storico medievale sopravvisse con minime alterazioni grazie alla resistenza dei privati all’esproprio pro arretramenti e rettifiche, mentre la presenza napoleonica si ridusse alla realizzazione della strada per Venezia (via Eugenia, l’odierno viale Venezia) e alla realizzazione dell’ellisse in piazza Primo Maggio. A Napoleone subentrò l’Austria che realizzò il cimitero urbano di S. Vito e la ferrovia Venezia-Udine, completata nel 1860, con la realizzazione della stazione.

Una conseguenza dell’urbanistica napoleonica fu l’apertura al consumo di suolo, implicita nella sostituzione delle rettifiche stradali e dell’arretramento dei fronti edilizi alla compattezza e all’aderenza al luogo naturale proprie dell’arte urbana medievale.

 

Dall’annessione all’Italia alla ricostruzione del secondo dopoguerra (1866-1963)

Dopo l’annessione del 1866, si avviò uno sviluppo che portò la popolazione a  60.000 abitanti negli anni venti del Novecento . I piani regolatori, dal primo del 1878 a quello del 1958, hanno in comune la priorità assegnata alle nuove espansioni extra centro storico, la “modernizzazione” del centro storico tramite demolizioni e rettifiche, l’esclusione dei corsi d’acqua e dell’ambiente  dagli oggetti di pianificazione , una gestione di breve periodo basata sulle trattative caso per caso con i privati che, in presenza di bilanci ristretti, evitava al comune di assumere impegni finanziari per la realizzazione delle opere. Piani, dunque, di “modernizzazione gestionale”, salvo il piano Sanjust (1909): strategico, perciò rigettato. Persisteva la mancanza di un’idea di città che si è trascinata fino ai nostri giorni.

Oltre all’edilizia privata, che accolse molti inserimenti in stile liberty nelle zone eleganti della città, furono realizzati i primi importanti interventi pubblici: l’abbattimento delle mura, il riempimento del fossato e la circonvallazione esterna; il Canale Ledra; le linee tranviarie (una, poi dismessa per palese insostenibilità culturale, economica e funzionale, passava anche lungo il Mercato Vecchio); l’elettrificazione dell’illuminazione pubblica, terza città d’Europa a dotarsene; il nuovo municipio liberty di Raimondo D’Aronco; la ferrovia per Tarvisio attraverso Udine est, separandola dal centro.

Dopo la guerra si registrò il trasferimento dell’ospedale nella zona nord e del Tempio Ossario. Il centro mantenne sostanzialmente i caratteri dell’impianto medievale, anche se non mancarono interventi di regime: il più impattante riguardò piazza Duomo secondo il modello di via della Conciliazione a Roma. Purtroppo, il piano regolatore di risanamento e ampliamento Foschini-Pascoletti del 1938 prevedeva aree di risanamento, demolizioni e rettifiche – come viale Ungheria che spazzò via antichi borghi storici, e altre strade ampliate o aperte nel centro storico – cui si riconobbero pienamente le prime amministrazioni del secondo dopoguerra, che le attuarono all’insegna di un’acritica modernizzazione. Fu ancora ampliato l’Ospedale.

 

Dall’istituzione della Regione al Piano Urbanistico Regionale (1963-1978)

L’istituzione della Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia nel 1963 incise sulla politica, sull’economia e sul territorio. L’obiettivo regionale di uno sviluppo basato sull’industria, comportò l’insediamento a sud di Udine di una zona industriale programmatica. Furono realizzate grandi infrastrutture funzionali allo sviluppo industriale (poi ai grandi centri commerciali) e all’integrazione europea: l’autostrada per Tarvisio e la relativa complanare ovest, la tangenziale sud, l’avvio dei lavori riguardanti la ferrovia per Tarvisio, lo Stadio Friuli. Ma si riconobbe la centralità della questione ambientale e della tutela dei centri storici, capitoli importanti nel PUR, integrando la legislazione nazionale. Furono realizzati i PEEP Est e il PEEP Ovest, e delimitati i parchi del Torre e del Cormor. Furono bloccate altre alterazioni nel centro storico. Il riconoscimento dell’eredità storica come un valore ebbe un riscontro nella ricostruzione post terremoto. Qui, oltre alla priorità al riavvio delle attività produttive, si sosteneva il ritorno in loco con recupero degli edifici antichi. Una svolta per Udine fu l’istituzione l’Università, che avviò il recupero dei palazzi storici e la realizzazione del Polo Scientifico dei Rizzi, aprendo nuove prospettive per la città. Rigettato, per le resistenze municipalistiche, il piano comprensoriale previsto dalla legge regionale, la pianificazione proseguì su due livelli: regionale, con il PUR; comunale, con gli adeguamenti.

 

Dal Piano Urbanistico Regionale a oggi

Con l’adeguamento al PUR (1987) Udine ribalta i principi di modernizzazione quantitativa che informavano ancora il piano del 1958. La città è vista come “forma aperta”, centro di servizio di supporto regionale. Sono realizzati un ampliamento dell’ospedale, il riassetto della viabilità in funzione antimonocentrica, la promozione delle attività culturali (teatro “Giovanni da Udine”), il nuovo tribunale, il nuovo palazzo degli uffici regionali, l’autoporto, localizzati in modo da bloccare l’aggressione terziaria al centro storico. Si realizzano il parco Moretti e altre aree verdi minori; i parchi del Torre e del Cormor restano pure previsioni, salvo il tratto del Cormor in zona Fiera. 

Le previsioni per la residenza riconoscono il valore dell’artigianato di servizio e la priorità alla riqualificazione e ripopolamento del centro storico, senza andare oltre dichiarazioni di principio. Si punta, contro la crisi, sulle dimensioni piccolo industriali e artigianali, ridefinendo anche le destinazioni della ZIU, e sul rilancio dell’agricoltura.

Successivamente è sempre più messo in discussione il modello di sviluppo e dunque lo sono anche gli strumenti della pianificazione. I tentativi di aggiornamento del Piano Urbanistico Regionale però falliscono tutti, e Udine, nel vuoto di strategie, è alla ricerca di una definizione di identità e di ruolo. I principi di buongoverno della città sono ormai abbastanza condivisi, ma il nuovo piano generale approvato nel 2013 si è attestato su posizioni di prudenza. La città è molto cambiata, tuttavia è paradossale che sia pervenuto fino a oggi in gran parte inalterato quel centro storico che, da Napoleone in poi per oltre un secolo e mezzo, è stato visto come un disvalore antitetico alla modernità, e che oggi costituisce, invece, il massimo valore identitario e culturale di Udine, proponendosi a pieno titolo come il riferimento primario, prima che per l’invocato nuovo modello di sviluppo, per ritrovare senso. La risistemazione del Mercato Vecchio, in corso, ne è un segnale confortante.

 


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